Questi testi di Emanuele Franceschetti alludono ad una stagione nuova della sua scrittura che, pur mantenendo elementi di forma e dettato già consolidati – ad esempio una certa propensione per le chiusure lapidarie (“Se guardi tutto questo/ non cerchi l’eleganza del dettato,/ non conosci la pace della forma. /Sai solo la tua assenza.”) – introducono spunti e modalità che dialogano con una certa ricerca contemporanea (mi viene in mente, per certe cadenze verso la prosa, il Mazzoni del secondo libro, ma non solo).
Anche le urgenze da cui scaturiscono questi testi sembrano più articolate e complesse, come nascessero da un diverso (e forse più bruciante) contatto con la realtà: “Gli altri respirano. Rischiano una caduta, si dissetano./ Diventa uno di loro – insiste – e non so da quale fondo/ torni a galla, con quale ostinazione.”
Sembra quasi che l’acqua che continuamente passa sotto i ponti della vita, sia troppa per essere contenuta in versi devitalizzati, per quanto precisi, come quelli di alcuni suoi coetanei. Si tratterà di vedere se questa partita, una delle poche che ha senso per un poeta giocare, contro la tentazione della bella forma che raggela l’esistenza, sarà vinta da Franceschetti, perché se è vero che, come ci ricorda, “non c’è notte che la terra non tremi”, è pur vero anche che cogliere la natura di questo tremore/travaglio richiede molto coraggio. Il prossimo libro, prossimo a venire alla luce, svelerà il risultato finale.
Gabriel Del Sarto
Sei poesie da Testimoni (2021)
Brera, Pinacoteca, Sala trentatré,
una tela tra le altre, due righe nel memorandum:
Nel millecinquecentonovantasette
ventitré missionari furono crocifissi a Nagasaki.
Sono esistiti, hanno occupato un corpo:
ora non hanno nome, stanno immobili
nel fitto didascalico dei segni.
Come sant’Orsola, poco oltre,
sant’Orsola bianca di morte
che fissa la sua trafittura,
se la tiene stretta negli occhi.
Se guardi tutto questo
non cerchi l’eleganza del dettato,
non conosci la pace della forma.
Sai solo la tua assenza.
*
I martiri di Otranto schiantati dai bastioni
oppure questa pace di ossa che calcificano,
la vita tra l’origine e la soglia.
La terra rossa che resiste alla minaccia del diluvio.
Uno tra gli infiniti testimoni
ristabilisce un ordine
di silenzio e memoria.
Tutto è al suo posto, tutto si contiene.
*
Guardalo, ha cinque anni al massimo.
Suo padre lo trascina, lo offre a monito.
Qualcuno offre un’arancia, una moneta
qualcuno apre le braccia sconsolato.
Non sa che gli altri stanno nella calca
per il cristo velato. Forse non lo vedrà mai,
non leggerà i capolavori del pensiero europeo,
forse odierà suo padre e sarà un astio
semplice, primitivo. Non potrà interpretare
i crismi del linguaggio, usare Hegel
per comprendere il male della storia,
cercherà un altro nel suo sangue,
vedrà sua madre andarsene, saprà
di un altro come lui morto ammazzato.
*
Guarda questo che ti assomiglia, mentre dorme
e sembra un vetro opaco, un ferrovecchio
un organo stretto nell’ingranaggio
di un male che forse neppure è male
se lo liberi dai significati.
Guarda come ti guarda, ora che è sveglio e mastica i suoi succhi,
e cerca luce, acqua. Una piccola preda per nutrirsi, un’altra
per accoppiarsi, secondo la natura della bestia,
senza l’idea del male.
*
Tutto questo che guardi sembra dirti che è notte fonda.
che anche nelle case più sicure c’è un segreto di morte,
vetri sul pavimento, parole come scorie.
domani altro dolore da schivare:
i notiziari, l’ora legale, la conta dei decessi.
E invece tu lo guardi come uno che non può
testimoniare un finale diverso per il corpo,
un’altra casa, un altro essere figlio
oppure padre senza figli,
sempre inchiodato alla frontiera, sempre
nel vivo dell’enigma.
*
Stiamo arrivando grida dal marciapiede una voce di tutti,
rotta di fretta e gioia; voce tesa alla vita,
che ama il simile e il dissimile. Non aspettare l’ora memorabile
dice un’altra a me soltanto,
misura il corpo nel suo giusto cerchio.
Gli altri respirano. Rischiano una caduta, si dissetano.
Diventa uno di loro – insiste – e non so da quale fondo
torni a galla, con quale ostinazione.
È il ventuno, cambia il passo della luce,
qualcuno sta per nascere,
non c’è notte che la terra non tremi.
Immagine: Ryan Gander, These are the markers of our time.