È VENUTA LA NEBBIA
È venuta la nebbia, come un’onda alta
Avrà ceduto la diga dell’orizzonte,
Questo recinto non è mai stato sicuro,
Questo puro spazio da guardare.
È una lenta scia di muco
Che si perde nel prossimo fogliame
E alzando gli occhi già mi sono perso il cielo.
Vorrei dormire, come l’uomo del Getsemani
Nel suo più incerto rifugio. Ascolto passi,
Brevi voci a chissà quale distanza,
Rumori di portiere che sbattono e più in là
Il rallentìo dei motori sulla strada.
Ora tutto è perso e niente s’è fermato:
Per questo silenzio bianco, di neve,
Sarebbe bastato chiuderli, gli occhi,
Rifiutarsi a quest’aria invernale.
*
LA DEA
Adesso ripara scarpe ai turisti
Lei che un tempo si esibiva al club Parnaso,
Quando gli dèi, seduti coi poeti,
Disfacevano il mondo in due battute
Al suo apparire. E roteava il corpo intero
E si offrivano i seni generosi
E i capelli accarezzavano la fronte
A tutti quelli accorsi all’ora giusta
Per conquistarsi un posto in prima fila.
Sulle balate sporche di pioggia
Ogni tanto fa ancora capolino
E subito ritrae la faccia stanca,
A se stessa nascondendo i ricordi
Che cadono da un cielo ingrigito.
Credeva di confondere i destini,
Di giocare con gli ottusi amori altrui;
E quando accosta quel rottame di conchiglia
Il vuoto echeggia un vuoto senza tregua.
*
AUDEN
La direzione è quella che avresti amato.
M’immetto sulla corsia, è agosto,
Ma l’autostrada è un cantiere di tristizie,
Villeggianti di cemento come pilastri armati
Immobili in un domino perverso.
Così li vedo mentre tu, alle mie spalle,
Resti come una scia mentale.
E adesso dovresti ritornare
Un’ombra: non ho più realtà
Di questo autogrill sperso in un deserto.
Avevo ancora negli occhi le tue foto,
Una vita intera: un residuo di sigaretta
Tra labbra giovani e i primi compagni;
Una camminata a New York sotto la neve,
Infine il viso come un lenzuolo sfatto
Dove qualcuno ha riposato male.
Adesso eri lì davanti al banco,
La studiata sciatteria di chi non ha rimorsi.
Mi guardai nel tuo stesso sguardo,
Il circolo vizioso della solitudine:
Eri senza bagaglio.
Questa è la legge, avevi scritto,
Soltanto questa. E non so più
Con certezza a quale nome risponda
La città che m’abbraccia ogni mattino.
*
SCHOPENHAUER
Oggi mi fa male il polso. Di nuovo.
È che l’occhio si stende nella mano
E la mano traccia il mondo
Ogni volta che apro gli occhi al risveglio.
C’è un giardino, sul retro: la mia fiaba.
E allora non importa se in cucina
Si è spento il fuoco, se l’inverno
Va assalendo i giorni di sorpresa.
Stamane è passato il lattaio
E non gli ho aperto. La stiratrice
Neppure si è fermata. Ora che annotta
Mi racconto quest’alba nel silenzio.
Immagine: Carla Morselli, Piano.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).