Nella quinta puntata della rubrica Due voci. Inediti e traduzioni pubblichiamo due traduzioni di Giulia Rusconi da Yves Bonnefoy e due sue poesie dalla raccolta inedita La lingua universale.
(da Yves Bonnefoy)
II
L’été vieillissant te gercait d’un plaisir monotone, nous méprisions l’ivresse imparfaite de vivre.
“Plutot le lierre, disais-tu, l’attacchement du lierre aux pierres de sa nuit: présence sans issue, visage sans racine.
“Dernière vitre heureuse que l’ongle solaire déchire, plutot dans la montagne ce village où mourir.
“Plutot ce vent…”
*
II
L’estate morente ti screpolava di un piacere monotono, noi odiavamo l’ebbrezza imperfetta del vivere.
“Piuttosto l’edera, dicevi, l’attaccarsi dell’edera alle pietre della sua notte: presenza senza scampo, viso senza radice.
“Ultimo vetro felice che l’unghia solare lacera, piuttosto nella montagna questo villaggio dove morire.
“Piuttosto questo vento…”
***
VRAI NOM
Je nommerai désert ce chateau que tu fus,
Nuit cette voix, absence ton visage,
Et quand tu tomberas dans la terre stérile
Je nommerai néant l’éclair qui t’a porté.
Morir est un pays que tu aimais. Je viens
Mais éternellement par tes sombres chemins.
Je détruis ton désir, ta forme, ta mémoire,
Je suis ton ennemi qui n’aura de pitié.
Je te nommerai guerre et je prendrai
Sur toi la liberté de la guerre et j’aurai
Dans mes mains ton visage obscur et traversé,
Dans mon coeur ce pays qu’illumine l’orage.
*
VERO NOME
Nominerò deserto questo teatro che tu fosti,
Notte questa voce, assenza il tuo viso,
E quando tu cadrai nella terra infeconda
Nominerò nulla il lampo che t’ha portata.
Morire è un paese che tu amavi. Io vengo
Ma eternamente pei tuoi foschi sentieri,
Distruggo il tuo desiderio, la tua forma, la tua memoria,
Io sono il tuo nemico che non avrà pietà.
Ti nominerò guerra e prenderò
Su di te le libertà della guerra e avrò
Nelle mie mani il tuo viso oscuro e trapassato,
Nel mio cuore questo paese che la tempesta rischiara.
***
(Giulia Rusconi, due poesie inedite)
L’unica cosa che chiedo, l’unica al mondo,
è di potermi lavare i capelli ogni giorno,
e il mio Dottore mi dà il permesso, buono com’è
a soddisfare tutti i miei piccoli vizi, come fumare
una sigaretta durante la visita, o chiudere la finestra
perché sento un po’ freddo sulla nuca.
L’unico cruccio è che l’infermiera deve assistermi
e guardami mentre mi asciugo col phon, per via
della corrente elettrica, che non si sa mai che mi venga
la voglia di fulminarmi, con i matti non è mai detto,
a loro vengono voglie repentine suicidarie
anche qui dentro, dove non ci sono nemmeno i buchi
per la corrente, nemmeno le tende e i coltelli
sono di plastica e non tagliano niente.
*
Nel Nosocomio la gente parla poco, tutt’al più
fanno dei versi che non si capisce se è un sì
o un no. Anche io mi unisco al coro dei grugniti
per tutto il tempo del pranzo e della cena.
Ma con il mio Dottore parlo tanto, parlo serena,
scandisco tutte le sillabe a una a una,
forse sono ridicola ma cosa importa,
lui è uno che capisce, uno che ascolta,
e quando mi parla, con la sua voce tenue,
scrive lettere dorate sulla mia volta in cielo
con lo scalpello magico dei grandi cuori.
Immagine: Licia Galizia, Fonte, 2018.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).