Dreiländereck 2012

da | Mag 9, 2013

I

Oggi, che mi guardi poco
da stamattina e io sono troppo docile, come prima [nell’auto,
e adesso con la voce, quando tento il freddo,
attento a non crepare il vetro che serra le domande –
nessuno fermerebbe quel vento, i semi vivi dello spavento –
siamo tornati al Trilande domenicale
perché fa bene camminare all’aperto.
Poi l’ossigeno, le foglie, le altre volte
che siamo stati qui. Un po’ di sole,
che scioglie il gelo in superficie e nelle frasi
inevitabile un più acuto allarme: più scivoloso
si fa lo strato di ghiaccio sotto il sorriso.
Ma via, dove vuoi correre? Torniamo
a mettere un piede davanti all’altro
indecisi dove abbandona il sentiero
strame, acqua marcia e l’incertezza, di nuovo, abbonda.
Poi farà buio. Resterà,
di questo giorno opaco come oro,
il silenzio inoltrato
in un ottobre storto, che sfinisce
ogni cedere – mi ritorce più crudo
il cinismo, e non mi crede.

II

Al posto di sosta: coda
alla cassa, cessi occupati, il lunedì che già affolta
le teste scarmigliate, le facce fiacche dell’ultima gita
prima dello scontento
annunciato dal meteo
e dalle imprese di rating
che ci dettano il tempo libero, le visite di controllo, gli [spaventi.

Siamo italiani sloveni österreicher
qualche tedesco, siamo europei, ovvero uguali
più di ieri i capelli, le auto, gli abiti,
più di ieri dispersi nel pulviscolo
di vite che vogliono piacersi, quando troppi
sono i microfoni e ovunque voci imitano
uno che chiama il tuo nome.

(Da dove chiamano, veramente?
Ascoltiamo marcire le pietre,
mentre i bambini scoprono la vita degli animali
nelle nursery dei centri commerciali,
e il sangue che macchia il colletto
non è il tuo, dov’eri, tu, cosa nascondi?
E l’Europa – voci, ancora voci –
dissangua
nella guerra di banche).

III

Che ha un cattivo odore
la vita, non lo diresti,
fino a quando non senti
la puzza di niente
che tutto sovrasta, anche i corpi che accalcano
attaccaticci il bancone,
a fine domenica.

(Viene dalle sue vene, dalle vene d’Europa
il fetore: le vedi, le valvole, i ventricoli che riversano
liquame nel puteus della fantafinanza –
ma altra opera è il cuore, e diversa).

IV

Poi siamo usciti, era già buio, nel parcheggio
più buia la montagna, un’ombra immensa
che obbligava a guardare il cielo.
Dal brusio dei richiami e delle auto in partenza si formava
una colonna di silenzio, si innalzava
verso quel cielo e ancora più in alto, oltre, verso lo spazio
che tutti inonda
di un nulla dolcissimo, una distanza pura
che accomuna – come non lo so dire – i letti
dove stanotte dormiremo, l’esattezza dei sogni, l’inguaribile
contagio delle lingue, il respiro che moltiplica
il destino ovunque nelle immagini
della selva, del cristallo e del sonno.

NB: Dreiländereck è un’espressione di lingua tedesca che definisce molti luoghi dove convergono i confini di tre Paesi. In questo caso si tratta di Italia, Austria e Slovenia, corrispondente a un vicino nodo autostradale dove passa una quota ragguardevole del traffico commerciale e del turismo adriatico europeo. Di quest’area fa parte anche il lago di Fusine, la cui fascinosa cupezza si esalta in contrasti di nero e oro nei giorni di sole in autunno. Dreiländerecke è anche il nome di una stazione di servizio e ristorazione sull’autostrada, appena oltre il confine austriaco (NdA).

Immagine: Lojze Spacal, Poletje na Krasu (Estate in Karst), 1967.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).