Cinque poesie in anteprima da “Dove sono gli anni”, l’ultimo libro di poesia di Gian Mario Villalta da poco uscito per Garzanti.
Sulla costa dell’acqua stagna i salci se ne sono andati
dov’è andata la tua maglia a righe e la roggia di casa.
Sono questa domenica cieca nell’occhio satellitare:
puoi contare ogni tegola contendere ogni colore
alla finestra, assordare di traffico incroci sui circhi
di tutti i guard rail, scorciare la piazza, ma non è mai
dove sono gli anni o che cosa ricorda – con le tegole sfatte,
i salci divelti e il fossale interrato – lo sguardo
che ricorda che è tuo ma il tuo non incontra,
distoglie (dici «tuo», «tuoi», ma non vale) i tuoi stessi
occhi, le stesse immagini.
*
Sei tu, sei cresciuto – ti pare – e invece
sei stato cresciuto nei pensieri di altri, nella loro casa,
con le loro cose piene di anni già stati.
E non bastano i desideri
a colmare il vuoto del nascere
quando bevi i tuoi quindici anni senza le lacrime
con l’aria dei tigli, e il vino va tutto per quell’amore
ridicolo che non si lascia inghiottire,
che cosa ci stiamo a fare ti chiedi
noi qui, portati via da noi stessi – chi c’è
oltre la soglia – chi inventa la voce che fa male, da dove?
*
Sempre ti manca quello che hai: vivere.
Qualcosa di più necessario, seguiti a chiedere,
qualcosa che ti convinca, ti vincoli a.
«Perché continuo a scrivere?»
Forse perché puoi finire
lo fai, come uno cammina di sera
prima di cena, o un altro vanga l’aiuola,
o mette a posto il garage, perché tu potresti
– come lui – non varcare più l’ombra
dei lampioni, l’altro smettere di sperare
che germini il seme o più non sapere se le sue cose
sono ancora lì – potresti così tu non essere
più tu che lo chiedi, ti avventuri, tu
che diventi tu che lo scrivi.
*
Sei diverso senza essere diventato mai altro:
quello che la maglia a righe, che l’acqua di casa
gorgoglia – la costa del fossale in fondo al campo
dove i salci splendono gialli d’inverno.
Quello che veniva battuto e piangeva nel sonno
stretto abbracciato al cane nel freddo per l’amore
che è sangue vivo che corre.
________________________________Era passato
così poco tempo, sembra più poco sempre
il tempo dopo.
_______________________________Che cosa vuoi uccidere
gli dicevi – leggeva poesie – che cosa vuoi vincere
tu che non hai perso mai niente?
Per la cronaca, costui non ha ucciso
nessuno – altri sì, che dicevano le stesse cose
che diceva lui – per la storia.
*
non riconosci la terra
distante dall’umido e dal grumoso, dal secco dell’intrico,
il respiro s’inerpica
dire ancora di essere lì dentro il giallo
e il marrone, foglie incollate, fumo freddo che trapassa l’acrilico,
odore di ferro, infiltrazioni, infeltriti silenzi
il nero rimasto un istante di più sulla rètina
era il merlo che si è nascosto tra i rami
tocca alle mani sentire fuori di te
l’orlo del monte, la corteccia del salice, la fame degli occhi
il cielo giù
giù – fino ai tendini – stringono ora cercano ora dolorano
l’azzurro
che il merlo ha lasciato vuoto