Ritratto del soldato Somacal Luigi (Grande Guerra /6)

da | Lug 19, 2014

Il soldato SOMACAL Luigi da Castion – recluta dell’84, 3^ categoria – era stato cretino dalla nascita e manovale fino alla chiamata.
Cretino vuol dir trascurato da piccolo, denutrito, inselvatichito.
Manovale vuol dir servo operaio, mestiere sprezzato. Il suo lavoro consisteva in nulla essere, tutto fare.
Ne porta i segni il corpo presentato alla visita militare.
Somacal ha offerto alla patria un fardello di ossa tribolate in posizione di manovale.
Sporge in fuori l’osso dell’anca che aiuta a camminar sciancati quando si deve equilibrare la secchia di calcina; gli ingranaggi dei suoi ginocchi pesanti, gonfi di nocciolini reumatici, empiono i pantaloni; il suo busto è una groppa che aspetta in eterno di ricevere pesi; la testa si rannicchia fra le spalle come cosa ingombrante, perché un uomo che porta, la testa gli dà noia; le sue mani di corame chiaro stringono sempre il badile; lo sguardo cerca terra: per non inciampare.
Questa è la posizione del manovale in cui Somacal si è presentato.
Somacal deve star sulla posizione di attenti, invece.
E che cos’è la posizione di attenti che «dovete prender subito voi, se siete buon militare» se non: «le calcagna unite sulla stessa linea, le punte dei piedi ugualmente aperte e distanti fra loro quanto è lungo il piede, le ginocchia tese senza sforzo, il busto a piombo, il petto aperto, le spalle alla stessa altezza, le braccia pendenti, le mani naturalmente aperte con le palme rivolte verso le cosce, le dita unite, col pollice lungo la costura laterale dei pantaloni, la testa alta e diritta, lo sguardo diretto in avanti»?
La posizione di attenti è la negazione della sua vita. Somacal vorrebbe essere buon soldato, perché è un mestiere che consiste nel passeggiar col fucile e vi passano la minestra il pane e il vestito come agli altri tale e quale (lui che non gli toccava che resti quand’era in squadra operaia), ma il suo corpo tutte queste cose non le può fare.
Prova l’attenti; prova il saluto; ma quando gli pare di esser riuscito, la mano non resiste più a mantenersi tesa, le ginocchia cominciano a tremare (vieni presto, caporale, a verificare) e quando il caporale arriva a lui, tutto ha ceduto.
È tornata la posizione di manovale. Somacal in uniforme è un burattino.
Il caporale lo tira fuori dai ranghi, lo fa marciar solo; e ridono tanto i suoi paesani […]
Ma appunto perché si sente burattino, diventare soldato ammodo è la gloria.
C’è speranza di riuscire.
Il suo tenente non ha riso quando l’ha guardato; anzi ha detto che un soldato non conta per quel che l’han fatto i suoi parenti, ma per quello che sa diventare. […]
C’è speranza. Per due, per quattro sarà troppo difficile ancora. Ma ci son delle cose, intanto, da poter imparare.
Somacal imparerà, intanto, a far bene quello che nessuno fa, perché tutti lo sanno fare: correrà fuori tra primi all’adunata; arroncigliolerà le cignoline; ramazzerà per levare il sudicio e non per farlo sparire.
Poi imparerà gli esercizi – quando tutti li sanno fare e sbagliano perché tanto li sanno fare –; Somacal, che sta attento, li farà bene, allora – Non sarà più tirato fuori quando si marcia di fronte guida destr: «Ocio Somacal, vegnì fora, vù; no stè a far confusion» diceva il caporale, ora: numero uno o numero due, Somacal sa «sparire». […]
Ed è successa la cosa meravigliosa.
Che il suo tenente lo ha visto e si avvicina. Che non si è avvicinato per rimproverare; che lo ha chiamato SOMACAL LUIGI; che viene per parlare a lui che vorrebbe essere sottoterra, invece: «ocio, Somacal, la posision d’atenti ora ».
Che ha chiamato anche il capitano: «Ocio Somacal sguardo diretto avanti» all’infinito.
«Ecco il mio amico Somacal che ha fatto trenta» dice il tenente.
Dice proprio amico.
Amico, lo chiama, anche dopo. Perché anche lui ha cercato come Somacal di imparare la vita.
Gli darà il permesso, scriverà alla sua donna di accoglierlo bene, perché è un buon soldato, suo amico.
È allora che Somacal ha inaugurato il suo nuovo sguardo di redenzione.
Non possiamo descriverlo, noi che non siamo stati redenti mai.
È una cosa nuova: non l’aveva mai fatta vedere perché nessuno ne aveva cercato.
Ma doveva averla pronta sotto quegli occhi d’angelo serafico montati su un viso di cretino pellagroso.
È allora che Somacal ha smesso di ridere.
Somacal sorride al suo tenente, invece – sempre che lo incontra lo porta in alto nei cieli dell’amore con quel sorriso di redenzione.
E allora che Somacal – siccome si sente felice – riesce a non farsi riformare.
I nocciolini reumatici lo mandano due volte sotto rassegna, ma Somacal torna alpino.
Gli scoprono un fià de gola grossa (gozzo) laggiù all’Ospitale.
Ma Somacal resta alpino.
Non per la patria. Somacal non saprà mai cos’è patria. Ma perché si sente in un’aria buona.
Vorrebbe rimanere in quell’aria buona fino alla fine. Vorrebbe sentirsi ripetere che è il suo amico. Purché lo dica ancora: sei il mio amico.
Certo, Somacal, soldato stronco, uomo zimbello, sei il mio amico.
Ho trovato vicino a te l’onore d’Italia.
Dico che è in basso l’onore d’Italia, Somacal Luigi.

Giuseppe Ungaretti, In dormiveglia (Grande Guerra /1)
Georg Trakl, Grodek (Grande Guerra /2)
Camillo Sbarbaro, Trucioli, 27 (Grande Guerra /3)
Clemente Rebora, Voce di vedetta morta (Grande Guerra /4)
Rupert Brooke, Fragment (Grande Guerra /5)

 

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).