Pubblichiamo alcune poesie in anteprima da Distacco dal vitreo di Roberto Cescon (Amos Edizioni, 2018).
Eravamo il lievito del pane,
un cucchiaio di odori stropicciati.
Ora guardo a ponente, primavera
per noi non ci sarà.
Bruciavo di volerti ancora
com’eri. Ora corto
è il fiato, le forchette a parlarsi
sole nella bonaccia del pranzo.
Lascio la presa, conto alla rovescia.
Come afferrano l’alba le labbra
cucite, le gemme innevate?
*
So. E non oso
che restare a riva
a mangiarmi la testa sullo scoglio.
Non so
dove ovunque andare
per sminare dubbi dagli incroci.
Un passo un respiro, un passo un respiro,
perché sei già caduto quando cadi.
*
Il mio nemico è pronto sempre e mai,
passeggia coi fantasmi per rifarsi
una nuova pelle, una volta perdonato.
A togliere un colore alla volta
nella ruggine si è visto
l’uomo sbagliato nel posto sbagliato
ma sa che mai non è perduto
il tempo immoto prima dei bivi.
*
Il mio nemico vive un passo indietro
coltivando giunti tra rotaie
perché aspettare come tutti
l’orizzonte illude che a cambiare
siano gli altri. Per questo tenta curvo
di togliere l’alone con lo straccio
ostinato a pulire, ostinato a restare,
sul punto di squartarsi
per le contrapposte conseguenze
perché la bestia brucia quando spinge
fuori l’aria e resta l’unghia.
*
Il mio nemico è gioia in solitudine
non di stare a riva
ma risalendo i bronchi nutrirsi
nervoso di vita
nel solo tempo che si slarga
anche se è un inferno
trovare le parole, farsi voce.
*
Solo mai, ma sempre con
il mio nemico reticente e tenace
più della risacca, picchio sulla spalla
il frinire della colpa che mi ingessa
quando contumace sono con me
e ritrovarla nei cippi
ingoiati fino a farmi orrore,
perché in tutto c’è una colpa,
liberarsi è il divenire di sé.
*
Come un poeta il mio nemico
esagera per dire il vero
ma spinge una ruota che non gira
con la spina dei doveri nel tallone.
La bestia si nasconde dentro casa,
è preda che s’insegue,
eppure dirsi con le unghie
di nessuno è responsabile,
tutto è davanti
per giungere a se stesso.
*
Sei accaduto, Pietro.
Prima del tifone vivevo in un acquario,
ora sono là dove non sono
perché l’inquietudine è il peccato
originale, ma per coprirci non c’è
abitudine o migliore altrove.
Pietro, arbitro del mio sguardo,
disegnare il tuo futuro è piantare
punti di domanda sotto terra.
Sei libero quando non hai scelta
perché la fine è già finita
solo quando muti gli occhi.
*
Cose da dire a Pietro
Poche strade sono dritte, spesso solo dentro noi.
Guarda sempre l’orizzonte, ad ogni curva cambierà.
Metti nello zaino solo quello che ti serve.
Lungo la salita pensa al libro vetta.
Trova il tuo passo, importante è arrivare.
Dopo la salita, godi la discesa senza fretta.
Per conoscerti devi perdere, però non troppo.
Aggiusta i pezzi con coraggio, è la vita che ti è data.
Non temere di cadere, qualcuno ti raccoglierà.
Dopo il temporale l’aria si pulisce.
Ridi, che la vita è una.
Immagine: Christopher Anderson, Reflection in window in Altamira from Capitolio, Caracas, 2006.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).