Dario Borso, Le linee della vita: Anna Achmatova e Sasha Dugdale

da | Giu 8, 2020

In Incontri con Anna Achmatova 1938-1941 (tr. it. di Giovanna Moracci, Adelphi, Milano 1990), Lidija Čukovskaja ha raccolto nel 1976 le sue conversazioni con la poetessa russa, che in quel periodo si recava quotidianamente alle Croci, il carcere di Leningrado, per avere notizie del figlio Lev, su cui pendeva una condanna a morte commutata poi in deportazione a vita. Anna passava spesso da Lidija, che aveva un problema analogo col marito, e a volte, temendo giustamente le cimici della polizia politica, succedeva questo:

D’un tratto nel mezzo di un discorso Anna si interrompeva e, indicandomi con gli occhi il soffitto e le pareti, prendeva un pezzetto di carta e una matita; poi diceva ad alta voce qualcosa di molto frivolo: “volete del tè?” oppure “come siete abbronzata!”, scriveva velocemente fino a riempire il foglietto e me lo porgeva. Io leggevo i versi e, quando li avevo impressi nella memoria, glieli restituivo in silenzio.

“L’autunno è venuto così presto”, diceva Anna ad alta voce e, acceso un fiammifero, bruciava il foglietto in un posacenere. Era un rito: le mani, il fiammifero, il posacenere – un rito splendido e doloroso.

La poesia qui sotto nacque in questo contesto di angoscia personale e di terrore politico. È datata “21 gennaio 1940”, e siccome Lidija nel suo libro data accuratamente i singoli incontri, il lettore volonteroso potrà scoprire anche  i particolari più minuti del contesto medesimo. Anna l’avrebbe inserita vent’anni dopo in un breve ciclo di dieci poesie intitolato I segreti del mestiere – non a caso, perché nel loro insieme esse dettano i precetti fondamentali di una completa, eppur tascabile, ars poetica.

Non mi servono le odi in armi
o gli incanti di oziose elegie.
Invece prediligo i versi abnormi,
non proni alle leggi stantie.

Se voi sapeste da quale lordume
cresce il verso, senza alcuna vergogna,
come presso al recinto il soffione
e l’atrepice e la bardana!

Urla irose, fresco odore di pece,
strana muffa al muro che non va via…
e già suona il verso lieve, audace,
per la gioia vostra e mia.

*

Мне ни к чему одические рати
И прелесть элегических затей.
По мне, в стихах все быть должно некстати,
Не так, как у людей.

Когда б вы знали, из какого сора
Растут стихи, не ведая стыда,
Как желтый одуванчик у забора,
Как лопухи и лебеда.

Сердитый окрик, дегтя запах свежий,
Таинственная плесень на стене…
И стих уже звучит, задорен, нежен,
На радость вам и мне.

Settant’anni dopo la sua nascita e cinquanta dopo il suo battesimo, nel 2010 dunque, la nostra poesiola ha costituito lo spunto per un’altra poesia, anch’essa senza titolo. La giovane autrice inglese, Sasha Dugdale, che ha vissuto a lungo in Russia e tradotto finora due drammi di Čechov, l’ha inserita nella sua raccolta Red House (Carcanet Press, Manchester 2011). Sin dal primo verso si sente un dibattito vivo con Anna (avverto qui per ragioni di metro che in russo si pronuncia Achmàtova), non privo di passaggi polemici, se non fossero ironici e benedetti da grande amore per l’interlocutrice ideale.

Perhaps Akhmatova was right
When she wrote who knows what shit
What tip, what pile of waste
Brings forth the tender verse
Like hogweed, like the fat hen under the fence
Like the unbearable present tense
Who knows what ill, what strife
What crude shack of a life
And how it twists sweetly about the broken sill:
Pressingness, another word for honeysuckle
But housewives? Has poetry
Ever deepened in the pail
Was it ever found in the sink, under the table
Did it rise in the oven, quietly able
To outhowl the Hoover?
Does it press more than the children’s supper
The sudden sleepless wail?
Did it ever?
It lives. It takes seed
Like the most unforgiving weed
Grows wilder as the child grows older
And spits on dreams, did I say
How it thrives in the ashen family nest
Or how iambs are measured best
Where it hurts:
With the heel of an iron
On the reluctant breast
Of a shirt?

*

 

Forse aveva ragione l’Achmatova
Quando scrisse chissà che merda
Che mucchio di rifiuti, che discarica
Genera  il verso delicato
Come pànace, come il farinaccio sotto lo steccato
Come l’insopportabile presente abituale
Chissà che nausea, che dissapori,
Che vita agra in quattro muri
E come si attorciglia lieve al davanzale rotto:
Urgenza, un altro nome per abbracciaboschi.
Ma casalinghe? La poesia
Ha attinto mai profondità dal secchio
Fu mai scovata nel lavello, sotto il tavolo
Lievitò nel forno, tranquillamente in grado
Di latrare più dell’aspirapolvere?
Urge più della cena per i bimbi
Dell’improvviso pianto insonne?
Lo fece mai?
Vive. Alligna
Come la più implacabile gramigna
Cresce spontanea mentre il figlio cresce
E sputa sulle aspettative, l’ho detto
Come prospera nel bigio nido familiare
O come i giambi sono cadenzati al meglio
Dove duole:
Col tallone di un ferro
Sul petto riluttante
Di una camicia?

 

P.S. Per chi, pur ignaro del russo ma seguendo la versione italiana, volesse udire la poesia di Anna dalla sua viva voce, appesantita da tanta fatica, qui https://www.youtube.com/watch?v=CJoInPeB3Ss; se da quella di un’attrice che ne rende la levità, qui https://www.youtube.com/watch?v=4SJXSRbybmg ; se da quella di una casalinga che le sintetizza entrambe, qui https://www.youtube.com/watch?v=XrTkTiLFN6A . Nel mio percorso sono risalito a gambero da Sasha, ossia da qui https://www.satisfiction.eu/il-conflitto-delle-interpretazioni/, ad Anna grazie all’aiuto di Valentina Parisi, la quale, oltre a indicarmi la fonte, ha messo alla prova il mio povero russo col ricco suo nelle ore di ricreazione durante il comune lavoro di curatela di Lev Šestov, Sradicamento, Morcelliana, Brescia 2019.

Dario Borso