Il 14 settembre ci ha lasciato la poetessa anglo-americana Anne Stevenson, dopo una lunga vita dedicata alla poesia. Di lei rimane un lavoro poetico ricco e vario, più di venti raccolte, caratterizzato dalla molteplicità dei temi e dal comune denominatore di un’intelligenza penetrante, che guarda con curiosità e attenzione al mondo degli uomini e della natura, e lo esprime in forme ritmiche sempre sostenute da un impulso musicale. Quest’anno è apparso in Inghilterra quello che lei stessa prevedeva essere il suo ultimo libro, dal titolo profetico Completing the Circle, che ha voluto dedicare alla sua traduttrice italiana. Il titolo proviene dalle Elegie Duinesi di Rilke e, come lei stessa dice, esprime il lungamente meditato convincimento che “la morte è il giusto e naturale completamento del cerchio che accettiamo e riconosciamo essere la vita”.
Da quest’ultima raccolta pubblichiamo due poesie inedite in Italia. In quella intitolata Il giorno immagina, con ironia e un pizzico di visionarietà, il giorno successivo alla propria morte. Ritroviamo nel testo dettagli della sua vita concreta, il nome della strada in cui effettivamente abitava a Durham, nel nord dell’Inghilterra, la presenza di una gatta, appartenente a dei vicini ma che volontariamente aveva scelto di vivere con Anne e il marito Peter, e i particolari di una vita “moderna” che ogni giorno poteva osservare nelle strade della sua città. Nella seconda, Un sogno di colpa, riaffiorano dal passato ricordi e rimorsi legati al rapporto con la madre, riprendendo temi a lei cari , la presenza in noi del passato, il suo essere la sostanza del presente, la memoria che annulla le distanze temporali e la consapevolezza che “La vita sarà mia fintantoché io sarò la mia mente”, verso ripreso dalla terza poesia, Quota 84 (tratta dalla raccolta Le vie delle parole, a cura di Carla Buranello, Interno Poesia, 2018).
Carla Buranello
The Day
The day after I die will be lively with traffic. Business
will doubtless be up and doing, fuelled by creative percentages;
the young with their backpacks will be creeping snail-like to school,
closed in communication with their phones; a birth could happen
in an ambulance, a housewife might freak out and take a train to nowhere,
but news on The News with irrepressible importance will still sweep
everybody into it ¬like tributaries in a continental river system,
irreversible, overwhelming and so virtually taken for granted
that my absence won’t matter a bit and will never be noticed.
Unless, of course, enough evidence were preserved to record
the memorable day of my death as the same day all traffic ceased
in the pitiful rubble of Albert Street, to be excavated safely, much later,
by learned aboriginals, who, finding a file of my illegible markings
(together with the skeleton of a sacred cat), reconstructed my story
as a myth of virtual immortality, along with a tourist view of a typical
street in the late years of the old technological West – a period
they were just learning to distinguish from the time of the Roman wall,
built of stone (so it seemed) long before anything was built of electricity.
Il giorno
Il giorno dopo la mia morte il traffico sarà vivace. Di certo gli affari
andranno a gonfie vele, sospinti da percentuali creative;
zaino in spalla, come lumache i ragazzi strisceranno verso scuola,
chiusi in comunicazione con i loro telefoni; su un’ambulanza qualcuno potrebbe nascere
e una casalinga dar di matto e prendere un treno diretto in nessun luogo,
ma le notizie su The News continueranno a trascinare tutti
con la loro importanza irresistibile – come immissari di un sistema fluviale continentale,
irreversibili, travolgenti e così virtualmente e ciecamente accolte
che la mia assenza conterà meno di un bit, seppure sarà mai notata.
A meno che, certo, non rimanessero tracce sufficienti a identificare
il giorno memorabile della mia dipartita come quello in cui il traffico si fermò
tra le macerie miserevoli di Albert Street, molto tempo dopo, e in tutta sicurezza,
riportate alla luce da colti aborigeni i quali, ritrovato un file di miei illeggibili segni
(accanto allo scheletro di una gatta sacra), ricostruissero la mia storia
come un mito di immortalità virtuale, accanto all’istantanea di una tipica
strada della tarda era tecnologica occidentale – un periodo
che staranno appena imparando a distinguere dall’epoca del Vallo di Adriano,
fatto con pietre (a quel che sembrerà) molto tempo prima che tutto venisse fatto con l’elettricità.
A Dream of Guilt
Remembering my mother
When in that dream you censure me,
I wander through a house of guilt.
It has a door – apology –
and windows – smiles. My selves have built
this huge, half-loved neglected place
out of the lintels of your face.
And still I hurt you. Still I – we –
entangle in obscure regret.
Your kind restraint, like stolen money,
weighs on me. I can’t forget. I can’t forget.
Hushed memories like cobwebs lace
this house too fragile to efface.
Un sogno di colpa
Ricordando mia madre
Quando nel sogno mi rimproveri,
io vago in una casa di colpa.
Ha una porta – le scuse –
e finestre – sorrisi. I miei io l’han costruito
questo luogo vasto, semi-amato, trascurato,
usando i tratti del tuo viso.
E ancora ti ferisco. Ancora io – noi –
c’impigliamo in oscuri rammarichi.
Il tuo riserbo gentile mi opprime,
come denaro rubato. Non posso dimenticare. Non posso.
Memorie sopite come tele di ragno ricamano leggere
questa casa troppo fragile per cadere.
At 84
On my birthday
I look from the tower of years I call my life
Into the pit: no time but space, no here but there,
No sense but memory, everywhere nowhere–
The doubtful story, the knotted handkerchief,
The where-are-you ever-present dead, whose names
Transport me instantly to childhood, tracking
The long way back to Christmas in a stocking.
So DNA designs the stuff of dreams,
And old is age that doesn’t need to be.
Some Proustian taste or scent or singing phrase
Defies the natural law it disobeys.
Life will be mine as long as my mind is me.
……While youth? Its wounds, anxieties and pain
……Are best remembered, not endured again.
Quota 84
Nel giorno del mio compleanno
Dalla torre degli anni che chiamo vita
Guardo nel pozzo: non tempo ma spazio, non qui ma laggiù,
Non senso ma memoria, ovunque in nessun luogo-
La storia incerta, il nodo al fazzoletto,
Il dove-siete-morti-onnipresenti, i vostri nomi
In un istante mi riportano all’infanzia, a ritroso percorro
La lunga strada fino al Natale e i suoi doni.
Così il DNA modella la sostanza dei sogni,
E la vecchiaia non ha motivo d’essere.
Un sapore proustiano, un profumo, la musica di una frase
Sfidano la legge naturale cui si sottraggono.
La vita sarà mia fintantoché io sarò la mia mente
……E la gioventù? Sofferenze, ansie e ferite
……Meglio ricordate che rivissute.