da CORPI N MOTO E CORPI IN EQUILIBRIO
I
Avremmo potuto farne a meno,
gli alberi fanno troppo rumore,
ma cosa ci stanno a fare
i cavalli, ciascuno per suo conto
avremmo finito per perderci,
fare ritorno, fare
tutto quello che vuoi, certe
volte gli alberi riescono
a crescere in direzione del cielo
aspirando l’esplosione nell’istante
inatteso, aspettando che finisca
di piovere, ispirati dall’istinto
corrrendo da una parte alla’ltra
ispidi, istigati dall’isteria,
il cuore pieno di bottoni,
le dita immerse, anguiformi,
com’erano belle dalla barca,
soffiamoci sopra, fine.
V
Chi mancava? chi tra strisce
bianche e azzurre entrò
domani dalla parte del porto
attraversando bocconi
partorito presbite carezzato
la rotaia se nessuno ci
guarda la stoffa la pelle
la staffa calibrata la
rotaia se qualcuno ci guarda,
i vetri bavosi non
dimeno la staffetta e il flauto,
il legname gettato sulla spiaggia,
scoprendo l’acqua nei polmoni,
la distanza esatta fra qui e là,
appena avvertiti dell’accaduto
accodi ansanti tuttora
alticci, bidimensionali, la candela
si spense e rimanemmo al buio.
XI
I delegati sono cinquemila,
uomini e donne, alcuni
per il freddo, il ladro, la balbuzie,
tutti gli altri hanno avuto ragione
e se ne sono andati tuttavia
e noi siamo rimasti qui tutti
seduti oppure in piedi oppure
a un più attento esame rivelano
la mancanza di affettività, chissà
quando li rivedremo
e il mondo riavrà pace
e nessuno voleva restare
e cosi nessuno è restato, tuttavia
essi sono ritornati e senza
ritrovarci, noi ingrati, noi calvi,
pudibondi, le dita immerse, raramente
si lamentano, non esprimono desideri,
non hanno alcuna esigenza.
XV
Invece di un vero cieco
la pioggia è ancora caduta
su tutta la strada e l’animale
osservato seppe cosa fare,
noi tutti qui intenti con tutti
questi fili sul prato sulla riva
della buca azzurra dell’anima,
che cosa vi mancava, qualora
ciò che importa non è l’incidente,
purché non si rimetta a piovere
ora che è scoperto il gioco
occorre continuare? A
legare? legalmente portiamo
l’opinione in su e in giu per le scale,
pianerottolo, ringhiera e libero
accesso, a meno che nella torre,
ma veramente si tratta, mai paura
d’impacchettare, annodare e non guardare.
XVII
Li incontri ogni giorno, guardano
rapati a zero dal ponte
si vedevano tutte le montagne
il mondo cadere a pezzi
mettendoci dentro un dito
girando su se stesso e lo ritirano
e sanno tutte le risposte
con occhi girevoli bianchi
nella carestia del secolo conviene
accogliere con festa il poco
che rimane, e non ci fanno niente,
girando su se stessi, lo ritirano
con gli occhi pieni di paura
agitando i cappelli, che precede
l’immersione fino ai capelli,
la paura scompare mentre
non guardano più le montagne
e tramontano tutte le montagne.
Immagine: Nanni Balestrini, foto di Dino Ignani.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).