Quattro poesie di Robert Frost

da | Feb 11, 2022

Pubblichiamo in anteprima quattro traduzioni, a cura di Silvia Bre, da Robert Frost “Fuoco e ghiaccio”, Adelphi, 2022.

 

IL TAGLIO DEL FIENO

Nessun rumore accanto al bosco, solo
la lunga falce sussurrava al suolo.
Sussurrava che cosa? Va’ a saperlo;
riguardava magari il sole caldo,
o forse invece l’assenza di rumore –
ecco perché sussurri e non parole.
Non era il dono in sogno di ore oziose
né l’oro alla portata di elfi o fate:
ogni aggiunta alla verità suonava fioca
al serio amore che allineava i fossi,
incluse lievi spighe di fiori (pallide
orchis) e impauriva un serpe verde lucido.
Il reale è il dolce sogno del lavoro.
Lei sussurrava, lasciando il fieno a farsi.

 

L’ASSALTO

Sempre così, quando una notte fatale
la neve accumulata infine cade
bianca nel nero bosco, e con un canto
che mai ripeterà lungo l’inverno
sibilato sul suolo ancora sgombro,
guardando in alto e intorno io quasi inciampo
come uno che sorpreso dalla fine
rinuncia al compito e lascia che la morte
scenda su lui dov’è, senza agire
sul male, senza riportare trionfi,
come non fosse iniziata mai la vita.

Eppure dalla mia ho i precedenti:
so che la morte invernale sfida la terra
solo per fallire: la neve in lunghe tormente
può arrivare senza vento a un metro
contro le querce, le betulle, gli aceri,
ma non frena il gracidio argento delle rane;
e vedrò la neve precipitare a valle
nell’acqua di un rio d’aprile che guizza
tra felci e erbe morte dell’anno prima
come un serpente che sparisce. Nulla
di bianco rimarrà, se non qui una betulla,
un grappolo di case là con una chiesa.

 

LA TENDA DI SETA

È lei in un campo la tenda di seta
a mezzodì quando una brezza estiva
ha terso la rugiada e i cavi cedono
così ondeggia al gioco dei tiranti
e l’asta di sostegno in cedro al centro
il suo pinnacolo che punta al cielo
e sta a indicare la fermezza d’animo
non par dovere nulla a funi singole
ma avvinta da nessuna è in modo lasco
giunta da infiniti lacci serici
d’amore e di pensiero al circostante
e solo a un cenno soavemente impresso
dal capriccio dell’aria che la muove
avverte appena il giogo più soave.

 

MAI PIÙ LO STESSO IL CANTO DEGLI UCCELLI

Dichiarerebbe e per di più convinto
che gli uccelli di quel giardino intorno
la voce udendo d’Eva tutto il giorno
avessero aggiunto un oltresuono,
il tono, senza parole, di quel senso.
Ovvio che un’eloquenza sì soave
poteva avere un’influenza sugli uccelli
solo se trasportata da richiami o grida.
Fatto sta che nel canto c’era lei.
Per giunta la sua voce sulle loro
nel bosco era durata così tanto
che forse non andrà mai più perduta.
Mai più lo stesso il canto degli uccelli.
Per far questo agli uccelli lei è venuta.