1.
Nessun porto sepolto lì davanti
tra Germignaga e Luino
in fondo all’acqua falsamente
innocente, per te
tredicenne annegata a ferragosto,
che venivi dall’Egitto a disperderti quassù
in questa contrada infida di laghi e torrenti,
nessun domani di sabbia o di sole.
2.
«Noi allora la chiamavamo così,
miseria» dice lei davanti a un’aiuola
che è meno di un’aiuola, una ripiena
confusa di breccia e terra al bordo di palazzi
non ancora finiti e già mestissimi.
Si vedono picoli fiori
di un blu testardo, occhi sgranati
in faccia all’abbandono
dietro le sbarre del cantiere
oggi deserto.
Li guarda li fissa mia madre
come se rivedesse volti persi
che riappaiono.
3.
Da tempo ronzava la sera
di giorno cercando un anfratto tra i libri
o sui muri. La povera cimice
sembrava aver messo radici,
scelto la sua prigione fra di noi.
Ma oggi, trovandola
abbarbicata a un sasso sul davanzale,
l’ho spinta dalla barca nel fiume oscuro
rapido e freddo e fondo, come direbbe Charles Simic,
della sua libertà, forse indesiderata.
4.
Freschissima l’erba
in questa conca mite che scende dal passo
in un mosaico di gobbe, avvallamenti e acque
che lentamente fluiscono. Ecco perché la mandria
rimane sdraiata, scampanante invisibile
nella controra. Ben diversa
questa pace soffusa
dalla zona più alta
detta Assassinavacche, di sbalzi e voragini
o dalll’altra scoscesa, Dei Cani,
petrosa, e anche più
cattiva. No, qui si sta bene,
pensano forse le bestie. Qui
si sta.
Ma una giovenca più nervosa o curiosa
resta ritta sul ciglio della strada, lontana
da tutte le altre. Non bruca, non riposa:
guarda le auto, le moto e i ciclisti
precipitare sgargianti verso il piano,
certi gridando forse di gioia
o d’impazienza.
Li osserva la vacca
e nessuno può dire se con sentimento
o gran dispetto, con quale interesse o pietà.
Nessuno saprà
cosa vede.
5.
Più su dell’Ospizio,
sorradendo il tozzo monte della Prosa
forato di bunker, feritoie, fortilizi dismessi
sul finire del vecchio sogno di controllo e difesa,
dell’usurato sfizio militare
che ha reso ricco qualcuno e spolpato il paesaggio,
si sale alla poesia di un lago alto,
in solitudine di corvidi. Ma è una poesia
moderna, d’acqua ingabbiata in dighe,
acqua d’altra rapina, argini osceni
esposti, tubature interrate. Tuttavia il lago esiste
e dalla sua cupezza parte a volte
un riflesso di luce, quasi un grido.
da AA. VV. Rampe di lancio doganieri e nuvole. Omaggio ad Alberto Nessi, a cura della Casa per la Letteratura della Svizzera Italiana (https://www.