Quattro poesie da Addio di Cees Nooteboom, traduzione di Fulvio Ferrari, postafazione di Andrea Bajani, Iperborea, 2020.
Questo si chiedeva l’uomo nel giardino d’inverno,
la fine della fine, cosa poteva essere?
Non gli sembrava affatto una forma di sofferenza,
guardò fuori, vide una nuvola dall’aspetto
di nuvola, grigio piombo, troppo pesante
per qualsiasi bilancia, il fico ormai spoglio
contro i sassi millenari del muro,
le oche del vicino, la loro censura,
come si doveva correggere la notte,
la grammatica dell’espropriazione, nessuno
sarà più se stesso, nessuna apparizione,
la ritirata dopo la sconfitta
ma senza una meta.
Il mio strano territorio. I miei amici non hanno
bocche, ma punte e braccia ad angolo,
sorvegliano i muri, aspettano con me le parole
che vengono a farsi rinchiudere
in qualcosa che è una forma. Ho percorso
il mondo per arrivare qui. Loro
sono la meta che non conoscevo.
I loro nomi sono strani e musicali,
le loro forme dentellate. Sanno molte più cose
di me, raccontano se stessi
nelle loro forme, ma restano all’interno,
il nostro dialogo è il mio guardare
sguardo come poesia.
Teste io ho visto, innumerevoli teste,
generali, amanti, viaggiatori
tra le stelle. Ogni testa la sua
storia, nascosta nelle pieghe
del cervello, lungo sottili fiumi
di sange, canneti sulle rive, paesaggi
segreti cui nessuno può accedere,
tranne un airone solitario,
che tutto può udire, pensieri
nascosti, desideri. L’airone solitario
ero io, e solo accanto all’acqua
annotavo quel che vedevo, che sentivo
testa dopo testa.
Ho percosro la strada più lunga, la strada
senza un arrivo. Spelonche, un paesaggio vuoto
con i colori della sabbia e della paglia. Altri camminavano
insieme a me, amici, fratelli, amanti
e tutti mi hanno detto addio, svoltando a sinistra
e a destra, sono scomparsi come spettri,
ognuno solo con se stesso. Senza voltarsi,
conoscevano la loro meta, tracciavano linee rette
nel vuoto. Le ho viste andarsene, le persone
della mia vita, usciore lentamente dalla mia
e dalla loro esistenza, Le ho immaginate finché
ancora le vedevo, sentivo le loro voci lontane,
suoni d’aria.