Cinque poesie dalla raccolta “Appartenir” (Le Castor Astral, 2024) nella traduzione inedita dal francese di Francesca Spinelli.
RITRATTI
Il lato materno: secchio colmo di vermi neri
corti, lucenti — in perpetuo movimento
Un solo buco per parlare, defecare
Lo stesso inquinamento
Il lato paterno: specchio infranto, schegge
che si incidono — i bordi più grossi della superficie
Provando a disporli, ti tagli le dita
— sangue, non si assemblano.
SECONDE GENERAZIONI
Accanto ai freschi e genuini
c’infuriamo — cosa ho fatto per meritare
di non sapere altrettanto?
Quel che ci manca in esperienza
— lancinanti cavità
proviamo a compensarlo
camminando su una linea dove due maree
— fantasie, frammenti vissuti — ci soffiano
battute
Nella mischia
Tra denigratori e ammaliati
— ignari fratelli
sferriamo, eccediamo
— in devozione, intransigenza
Nate dai tormenti del nostro disagio
le bugie scorrono nel flusso collettivo
E restiamo così, a mezz’aria
con i nostri spazi incolmi di legittimità.
SAPERE TROPPO
Appena — Un po’, ma non proprio —
Riesco a leggerlo — le mie variazioni
alla domanda ricorrente:
Parli greco? — mio padre
non ci ha parlato — mio fratello ed io
abbiamo acquisito le basi per altre
vie — nessuno nei due andando molto
avanti — a vent’anni, un desiderio
pugno sul tavolo: andare a viverci
— un anno, per recuperare — recuperare cosa?
Non l’ho fatto — e oggi so
— imparare davvero il greco, imparare
fino a sapere, avrebbe significato
stringere ancora il legame
con mio padre, distruggere la diga
— massa d’acqua del suo dolore,
dei suoi ricordi, la gravità —
non più sporadico traboccare
— immergercisi — imparare, davvero
la lingua del padre — sarebbe stato
saperne troppo.
SINTOMI, GIORNO
Ma cos’hai, di preciso?
Un peso — no: un nodo
cristallizzato, nero diamante inseparabile
innestato sul mio diaframma
Il respiro sempre interrotto — non proprio
(nel mio stato la precisione non è di alcun
aiuto — piuttosto una vanità, come affrontare
ben vestita il plotone d’esecuzione)
— il respiro incapace di soddisfare
di giungere al termine — di offrire
l’ossigeno sufficiente a mettere il nodo
in sordina nell’attimo in cui inspiro
Un disgusto simile a nebbia
— non voglia di vomitare — come se anima
e odore fossero tutt’uno — e l’anima
appunto — l’anima di giorno la sotterro
sotto compiti manuali, ripetizione
e di notte ritorna.
SINTOMI, NOTTE
Anche se bendo, stringo
c’è piscio ovunque
— tappo un buco
subito l’anima ne squarcia altri tre
— fuoriesce con più impeto ancora
Esco in giardino, è notte — cielo senza nubi
stelle a non vederne la fine — un po’
di cosa? conforto è sciocco — oblio
— appena il tempo circoscritto
dello sguardo alla notte — respiro.
NB: Non è stato sempre possibile rispettare la grafia dell’originale, ci scusiamo per l’inconveniente.