ALEPH Da quali chiuse o antri, da che chiese o macelli,
da che prati infiniti, polveri, geli, velli,
da che eczemi diffusi, da che parestesie
diffuse, in che paresi in che cloni in che mie
o tue carenze alterne, mie o tue semipresenze,
riapparizioni di straforo, giochi di sbiechi e intermittenze,
rifiorisco siccome fatuo vanto di riscrivere
losquisito insatellirsi, al non vivere, di ogni vivere,
rifiorisco per dire peste: a calcolo e a sorte –
vivo sarò la tua peste, morto sarò la tua morte?
A chi vado rifacendo il verso di Lutero,
a che bordello a che serra di dèi, a che cimitero
di mostri e dèi e deesse tuttafiga
che lungo lungo l’orbita mi aspettan messi in riga?
Ma di nessuno e di nulla bestemmio: i miei porchi
segnano solo la stretta dove, o me stesso, ti torchi.
BETH Ed ecco – un suono virginee tristezze, come erbette da cena
come pungenti venti pasqualini e vini agretti, mena;
è il tempo del Passaggio, del (Signore): piangete
e gioite meco voi che di erbette avete fame, di vini sete,
è il tempo dei sonni levissimi e solo agitati
dal tenero désir sognifico dei bimbi-futuri-vati.
È il tempo tuo, (Signore), che fa e disfa il bianco e il blu
nei fossati pei cieli sui monti e oltre e più.
Fa’ o Signore che – ma il tuo fare cos’è?
Fa’ o Signore che – ma non vedo perché.
[…]