La poesia inedita che segue è per Roberto Pazzi, scrittore e giornalista ferrarese, scomparso lo scorso dicembre, a cui è dedicato anche il Festival della Poesia di Ferrara che si conclude oggi.
LA STANZA IN FONDO
a Roberto
Come d’aria si faceva
faticoso e irreprensibile il dibattito
tra l’eterno e il contingente in casa sua,
dove le pile di libri fuori misura
scandivano lo scorrere del tempo,
quasi le copertine si opponessero
le une alle altre, faccia a faccia,
per affermare le rispettive verità.
Dell’ospedale aveva addosso il delirio,
l’eco dissennata da un capo all’altro
del corridoio di medicina generale,
quando a chi snocciolava un padre nostro
rispondevano all’opposto «Maria Grazia,
Maria Grazia, ti prego…
– il nome beato dell’oss di turno –
mi sono sporcato, vienimi a cambiare».
E ancora lo venivo a cercare,
abbandonato il pensiero contemplativo sull’uscio
insieme a ogni genere rassicurante di finzione.
Venivo al suo fianco acuto e imbiancato,
al suo lenzuolo di lino immutabile,
profugo del mio quotidiano.
E quando lo risentivo, tornavo in me.
Seduto al suo fianco, ai piedi del letto,
mentre affondava nel suo sudario
con addosso soltanto una polo
slavata, ma comunque Lacoste,
e ripeteva lamentoso:
«Se non fosse per quel maledetto
quarto di libra di carne»,
strizzavo gli stracci del suo quotidiano.
Come d’aria viziata che si allargava
le parole del consumo lo annoiavano,
da un premio a un proclama,
da un elzeviro a un saggio breve.
Solo l’ossessione per Proust
e la ricerca di una regalità
nei resti posticci del tempietto neoclassico
dietro casa,
la sua spada Savoia appesa al termosifone,
il solito cimelio ingenuo,
gli davano sollievo.
L’essere umano non può scommettere
sul tempo, contro il tempo,
se proprio prevedere un cambio d’abito,
un mero spostamento delle sue membra.
Quella finestra chiusa su Contrada della Rosa
mi avvertiva che dormiva ancora.
D’altronde, ciò che è reale
lo è solo per un tempo
e per un solo spazio.
D’altronde, l’acqua sul suo comodino asettico,
nella sua bottiglia lucida,
non era ancora dimenticanza.
L’acqua non cambia stato all’improvviso,
allo scoccare inerme del pendolo in corridoio,
ma si trasforma poco a poco in vapore,
o solidifica incompresa nel congelatore.
MATTEO BIANCHI (Ferrara, 1987) si è specializzato in Filologia moderna a Ca’ Foscari sulla poetica di Corrado Govoni. Nel saggio "Il lascito lirico di Corrado Govoni" (Mimesis, 2023) ha messo in relazione i profili di Giorgio Bassani, Roberto Pazzi, Angelo Andreotti e altri scrittori emiliani contemporanei. Ha pubblicato le raccolte "Fischi di merlo" (Edizioni del Leone, 2011), "L’amore è qualcos’altro" (Empirìa, 2013), "La metà del letto" (Barbera, 2015) e "Fortissimo" (Minerva, 2019). È redattore di Pordenoneleggepoesia.it e dirige il semestrale “Laboratori critici” (Samuele Editore); come giornalista scrive per “Il Sole 24 Ore”, “Left”, Globalist.it e “Il Foglio”. Dirige il Centro Studi “Roberto Pazzi” della sua città.