Ora che non mi dici niente, ora
che non mi fai godere né soffrire,
tu sei la consueta dei miei giorni.
Tu somigli ad un lago tutto uguale
sotto un cielo di latta tutto uguale.
Assonnato mi muovo sulla riva.
Non voglio non desidero, neppure
penso.
Mi tocco per vedere se sono.
E l’essere e il non esser, come l’acqua
e il cielo si confondono.
Diventa il mio dolore quel d’un altro
e la vita non è lieta né triste.
T’odio, compagna assidua dei miei giorni,
che alla vita non mi sottrai, facendomi
come il sonno una cosa inanimata,
ma me la lasci solo rasentare.
Poiché son rassegnato a viver, voglio
che ogni ora del dì mi pesi sopra,
mi tocchi nella mia carne vitale.
Voglio il Dolore che m’abbranchi forte
e collochi nel centro della Vita.
Ora che non mi dici niente, ora
che non mi fai godere né soffrire,
io rassegnato aspetto che tu passi.
(da “Pianissimo”, 1914, ora in “Poesie e prose”, a cura di E. Testa, 2022)
Nato a Santa Margherita Ligure nel 1888 (morto a Savona nel 1967), Camillo Sbarbaro visse quasi sempre in Liguria. Lavorò prima nell'industria siderurgica, insegnò greco e latino finché dovette lasciare l'insegnamento per essersi rifiutato di iscriversi al PNF. Ha esordito con le poesie di Resine (1911), ma si affermò con Pianissimo (1914) che gli permisero la collaborazione alle riviste «La Voce», «Quartiere latino», «La riviera ligure». Seguirono le prose di Trucioli (1920) e Liquidazione (1928) caratterizzate dal frammentismo e da una ricerca espressiva tra lirica e narrativa tipici degli scrittori vociani. Nel dopoguerra ha pubblicato altri volumi di prose dai titoli volutamente riduttivi: Fuochi fatui (1956), Scampoli (1960), Gocce (1963), Contagocce (1965), Cartoline in franchigia (1966) che rievoca l'esperienza di guerra. Ha pubblicato anche le raccolte di poesie Rimanenze (1955), mentre Primizie (1958) risalgono per composizione a prima di Pianissimo.