Parigi cambia. Ma niente nella mia malinconia
s’è mosso. Palazzi nuovi, impalcature, pietre,
vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria;
e i miei cari ricordi pesano come rocce.
Davanti a questo Louvre, un’immagine mi opprime:
penso al mio grande cigno, con i suoi gesti folli,
ridicolo e sublime come gli esuli,
roso da un desiderio senza tregua; e poi a te,
Andromaca, caduta dalle braccia del tuo sposo,
vile preda nelle mani di Pirro superbo,
prostrata in estasi davanti a un cenotafio:
vedova di Ettore, e ora moglie di Eleno.
Penso alla negra, tisica e smagrita:
sciabatta nella melma e cerca, stralunata,
le palme assenti dell’Africa superba
oltre il muro immenso della nebbia.
A chiunque ha perso quel che non si ritrova
mai più; a chi si disseta di pianto
e succhia il seno dell’Angoscia, lupa buona;
agli orfani scarniti come fiori secchi.
Così nella foresta, esilio alla mia mente,
un vecchio Ricordo suona il corno a perdifiato.
Penso ai marinai dimenticati su un’isola,
ai prigionieri, ai vinti… e anche a tanti altri.
(trad. it. di Pierluigi Pellini, da Charles Baudelaire, “Il cigno”, Mucchi, 2022)