«Penso a te quando mi trovo fuori nelle ore pomeridiane…» Giorgio de Chirico e Alceste.

da | Feb 23, 2015 | Non Fiction

Il «pacchettino»

Potrebbero essersi incontrati per caso, durante una pausa di lei e in una passeggiata di lui all’osservatorio astronomico, in cima alla torre di Santa Caterina, nelle stanze del Castello Estense, Antonia Bolognesi e Giorgio de Chirico. Oppure potrebbero essersi osservati a lungo prima di parlarsi proprio in un punto preciso di Ferrara: via Mentana 27, dove l’Alceste del pittore, ritratta in un suo quadro del 1918 – pensosa, gli occhi verso il cielo ­– abitava.

Non sappiamo le prime parole che la ventenne e il trentenne di allora si scambiarono, ma oggi possiamo leggere le loro lettere: 104 in tutto, mischiate a cartoline e biglietti, imbucate tra quella che de Chirico ricorderà nei suoi quaderni a righe come la «città delle sorprese» e Roma, dove Giorgio viveva e non tutti i giorni amava: «A Roma c’è un gran movimento che mi disturba».

Un carteggio che dobbiamo a un comò stile impero ereditato dal nipote di Antonia Bolognesi – ai tempi giovane impiegata agli uffici provinciali – che in un suo cassetto nascondeva il fitto «pacchettino» pubblicato da Maretti e che, come gli epistolari più belli, una volta finito ci fa rimanere sul divano ad immaginare cosa ci siamo persi, fosse anche una sola parola, un diminutivo.

 

«Penso a te quando mi trovo fuori nelle ore pomeridiane»

Partito dalla città del loro incontro, de Chirico scrive la sua prima lettera ad Antonia nel gennaio del 1919, all’Hotel Park di Via Sallustiana, e la prima riga da sola sa darci il tono di quelle che verranno: «Sono arrivato questa notte dopo un viaggio disastroso in carro bestiame: ho perduto quasi tutta la mia roba». Sono parole semplici, curiose: ci dicono che quelle che le seguiranno racconteranno le care, piccole cose.

Ad Antonia, che sfogliando le lettere prende i lineamenti di una piccola Magalì, Giorgio scriverà inezie: che l’inverno romano è una primavera, che passeggia senza mantellina; appunterà noie: «La sera non esco mai; sto nella stanza di mia madre a dipingere a disegnare o a leggere»; invierà fotografie di sé stesso arrossendo della sua vanità il momento prima di chiudere la busta, riaprendola e aggiungendo sul retro dello scatto: «Non ardisco scrivere una dedica temendo d’essere troppo brutto. G.».

 

1919

Ma le più belle sono le lettere dove le piccole cose sono immaginate, fantasticate, desiderate. Una su tutte il pittore la scrive nel marzo del 1919: «Stanotte ho fatto un brutto sogno; ho sognato che ero andato a Ferrara e recatomi a casa tua non ti trovai; e la mamma e Maria mi dicevano che eri partita dalla mattina per andare a prendere delle lezioni di pianoforte; ed io aspettavo ansioso nella sala da pranzo, ove mi ricordo che vidi il pendolo segnare le 10 di sera, e mi svegliai con quell’affanno di non averti veduta…».

Giorgio de Chirico promette ad Antonia Bolognesi che il 1919 sarà per loro l’anno della «vittoria finale», l’anno che li vedrà marito e moglie, la stringe ripetendole che già lui è suo nunc et semper, i pomeriggi che esce di casa e cammina per la città li passa a pensare a quali vie stia attraversando quel giorno lei, ne ricorda attento i nomi, ne indovina a memoria i monumenti in tre delle righe più belle di tutto il «pacchettino», le bacia le «belle e care manine» alla fine di ogni suo biglietto. Ma quell’anno finisce, e l’ultima lettera del pittore che possiamo leggere, Giorgio la scriverà ad Antonia poco prima del Natale 1920, il 23 dicembre: le chiede se desidera ancora stare con lui, le sottolinea di essere sempre suo. Poi, alla cassetta di via Mentana 27, non arriva più posta.

 

Piazza di Spagna                  

Dov’è Giorgio? Si è perso a Villa Borghese, dove passa le ore pomeridiane a copiare quadri antichi? O avrà lasciato la città? Per Antonia, Giorgio è sempre con lei. Alceste fa che siano gli articoli su di lui a diventare le sue lettere, fa che siano i quadri di Giorgio – riportati sulle pagine dei giornali in occasione delle sue esposizioni – le sue nuove cartoline. Comincia a ritagliare tutto quello che trova sul suo «pictor optimus», raccoglie con cura, in ordine cronologico, le parole di Giorgio che hanno preso una nuova, indiretta forma, infila tutto nel «pacchettino» e lo annoda. Arriva a chiedere di lui a chi abita a Roma e può conoscerlo, incontrarlo di sfuggita. Scrive, dal tavolo del suo ufficio – dentro quel Castello Estense che li aveva visti insieme – al Comune di Milano e a quello di Firenze, fingendo di dover sapere l’indirizzo di de Chirico per motivi di lavoro. Riesce a far suo uno scritto autografo del fratello di Giorgio, Alberto Savinio, dove lo scrittore rivela a un suo amico l’indirizzo francese del pittore: «Hotel Beauséjour, Rue des Saints-Pères». Gli scrive nel 1922 lettere a indirizzi che non sa nemmeno più se siano ancora suoi.

Coraggiosa, Antonia. Forte, Alceste. Fino all’ultimo biglietto, piccolo, accorto, scritto il 21 dicembre del 1950. Sono passati ormai trentun’anni dal loro primo incontro, e poche ore da quello che forse sarà stato l’ultimo. Ora è lei ad essere nella città di lui, e commuove ricordando un poco Adèle Hugo nel film di François Truffaut quando, ormai folle, l’ultima volta che incontra l’amatissimo tenente Pinson – inseguito per una vita –  gli passa semplicemente davanti. Ma Antonia riconosce Giorgio. La sua lunga ricerca non le ha fatto confondere i tratti di chi si temeva troppo brutto. «Dopo avere avuto la fortuna di incontrarLa ieri sera in Piazza di Spagna in compagnia di Persona nei pressi della Galleria di Piazza di Spagna, mi permetto di affidare a questa missiva per Lei, molti saluti ed auguri di Buon Natale – dev.ma Antonia Bolognesi».

Natalia La Terza è nata a Orbetello nel 1990 e vive a Roma. Scrive su Harper's Bazaar Italia, Esquire, Rolling Stone e minima&moralia.