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Albio
Albio è il piccolo noce che è a sinistra
della strada salendo dalla casa
al cancello. Passando stamattina
l’ho guardato e ho veduto che aveva
fatto delle nocette, a coppie, già
grandine, verdi lucide, un po’ rade,
non tante ma bellissime e ho pensato
che l’anno scorso non le aveva ancora
fatte, e quest’anno era la prima volta
che le faceva, e anche guardavo
le foglie chiare perfette ovali
senza neanche una macchia, senza un punto
o un buco, niente, e anche i piccoli rami
alti fino giù al tronco snello nitido
bianco e la forma perfetta gentile
di tutto quanto l’alberetto dritto
nella luce, e pensavo: tutt’intorno
i meli il pero il susino i due poveri
cipressetti piegati dalla neve,
le rose, addirittura la gramigna!
sono malati, e tu sei così sano
invece e lucido e bello e pulito
Albio e stai in piedi nel tuo dolce angolo
nella luce; e pensavo ( e mi sembrava
che stesse come aspettando qualcuno
o qualcosa), pensavo: tutti hanno
qualche male, non c’è nessuno che
non abbia niente, e io avrei dovuto sì
curarli, dargli dei veleni, i rami
potargli e invece non ho fatto niente,
non ho potuto, non ho fatto niente,
e anche la casa e tutto questo presto
dovrò lasciare e i due cipressi piccoli
e Antenore che primo nel pometo
fiorisce e il fico e l’abetino morti
e le rose e l’erbaccia che ricresce
senza posa e il giardino del mio amore
tutto dovrò lasciare, tutto, e tu
Albio sei così bello, oh ma perché
perché sei così sano e bello Albio?
per chi? pensavo, per chi?… e il suo respiro
lieto e quieto sentivo quasi e un’ombra
che si curvava e nella luce un lume
già via cacciavo, già più non volevo
vederlo, e via per la strada tornavo
e non sapevo la tua gloria invece
non la sapevo, non sapevo niente,
e mi venivano, agli occhi, le lacrime.
(da “Fraturno”, 1987)
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