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Il trisillabo dolore
Ti si diede nella mano:
un tu, senza morte,
con cui tutto l’io tornò a sé. Correvano
voci prive di parola, forme vuote, tutto
finiva in esse, mischiato
e scomposto
e di nuovo
mischiato.
E numeri erano
tessuti con l’innumere. Uno e mille e ciò
che davanti e dietro
era maggiore di se stesso, minore,
maturato e
ri- e tras-
formato in
germinante mai.
Il dimenticato agguantò
il dimenticando, continenti, cuori a pezzi
galleggiavano,
affondavano e galleggiavano. Colombo,
il colchico
nell’occhio, il
ranuncolo,
sterminò alberi e vele. Tutti salparono,
liberi,
avidi di scoperte,
smise di fiorire la rosa dei venti, perse
le foglie, un oceano
fiorì a iosa e a giorno, nella luce nera
dei selvaggi colpi di timone. In bare,
urne, canopi
si destarono i piccoli
Diaspro, Agata, Ametista – popoli,
tribù e casati, un cieco
E s i a
si annodò nelle gomene sciolte a testa di
serpente –: un
nodo (e contro-, retro-, anti- e bi- e mille-
nodi) presso cui,
occhi da carnevale, la nidiata
delle stelle-martora nell’abisso
sil-, sil-, sil-
labava, labava.
(traduzione di Dario Borso, da “Ci sarà forse da lottare”, 2020)
Cetacei nel mojito
Quattro testi in anteprima dalla plaquette "Cetacei nel mojito" di Alberto Pellegatta, appena uscita per "I Quaderni della Collana", Stampa2009. Le piace il calduccio della mia lingua quando scrivo male come si impara dopo lungo tirocinio dimenticando i ricordi tutti intatti nel buio quando finalmente scopri una falda sotto il manto malinconico della mezzanotte e scappano dal foglio cercando una bocca disponibile a ascoltare. * Il ragazzo che mi piace non pensa a me ma al seminterrato...
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