Continua la serie delle interviste agli editor italiani.
Abbiamo sottoposto il questionario a Elisabetta Migliavada, direttrice della Narrativa Garzanti. Hanno già risposto alle nostre otto domande: Ginevra Bompiani, Carlo Carabba, Stefano Izzo, Chiara Valerio, Gabriele Dadati, Giulia Ichino, Andrea Gentile, Matteo Alfonsi, Nicola Lagioia, Federica Manzon.
1) Quali sono le caratteristiche principali che un libro deve avere per colpire la sua attenzione?
Ci sono tre caratteristiche fondamentali. La prima: deve raccontarmi una storia. Una storia che mi mostri il mondo da dove non l’avevo mai guadato prima. Una storia che sia originale e archetipa allo stesso tempo, una storia da cui possa imparare qualcosa.
La seconda: deve avere una buona scrittura, capace di sostenere la storia che mi sta raccontando.
La terza: deve tener fede alla promessa e al patto che ha stretto con me sin dalle prime pagine. È un po’ come la promessa di matrimonio. Questo aspetto è fondamentale. Perché qualunque opera narrativa, che sia commerciale o letteraria, che sia un thriller, un fantasy o un distopico o anche nulla di tutto questo, sin dalle prime pagine stringe con me un patto: può essere quello di intrattenermi ed emozionarmi, quello di immergermi in una scrittura fitta e intensa, o quello di mostrarmi una nuova voce. Questo patto, questa promessa, devono essere chiare fin dalle prime pagine (ed ecco perché l’incipit è così importante). E devono mantenerla per tutta la narrazione fino alla fine (ed ecco perché il finale è fondamentale tanto quanto l’incipit).
2) Se e in che modo è cambiato il suo modo di leggere negli ultimi anni?
Sì e no, nel senso che da una parte è cambiato moltissimo in relazione ai libri che leggo per piacere personale. Da quando faccio questo lavoro è impossibile per me leggere un libro come facevo una volta. Il mio occhio è molto più critico, e il mio lavoro, nella percezione di quello che sto leggendo, c’è sempre, anche nei pochi e rari momenti in cui leggo i libri che compro per piacere (questo momento è uno solo all’anno: le vacanze estive…). Ma dall’altra parte poi è rimasto anche uguale a prima, nel senso che sono sempre stata una lettrice forte, anche da ragazzina, ho sempre letto tantissimo. E credo che uno dei primi comandamenti dell’editor sia non dimenticare il primo lettore che era in te, vivere ciascun libro come se tu fossi prima di tutto un lettore e basta.
3) Quale pensa che sia il ruolo di un editor oggi? Crede che debba influenzare le scelte dell’autore fin dal concepimento dell’opera?
L’editor non si deve prendere troppo sul serio, prima di tutto. Io la vedo così: il mio ruolo è fare bene il mio lavoro, cercando libro dopo libro di far procedere bene la casa editrice, scoprire nuove voci che arricchiscano il suo catalogo, e scoprirne altre che le siano fedeli, senza dimenticare di far quadrare i conti, perché solo così potrò creare un’offerta ricca e variopinta. E poi trovare nuovi lettori. Per quanto riguarda l’influenzare o meno l’autore, uno dei più grandi editor di tutti i tempi, Max Perkins (editor di Hemingway, Fitzgerald) ha scritto che «il lavoro migliore di uno scrittore viene totalmente da sé stesso». Il ruolo dell’editor è maieutico: il suo compito è leggere e rileggere le pagine, a volte fino allo sfinimento, e spiegare all’autore cosa funziona e cosa funziona meno. E poi aspettare che nasca il nuovo, che dal dialogo emergano nuove idee.
4) Ci parli della sua formazione culturale, il suo percorso fra gli autori e le letture.
Sono nata in una casa piena di libri e sono sempre stata una forte lettrice, anche grazie alla famiglia in cui sono cresciuta (l’appuntamento fisso era andare in libreria ogni domenica). Ho sempre amato le storie e la letteratura in qualunque sua forma, tanto che mi sono laureata con una tesi in sociolinguistica inglese sulle storie e le ballate trasmesse oralmente da una popolazione nomade della Scozia. Tutto è iniziato dodici anni fa, in Piemme. Ho avuto il privilegio di iniziare a lavorare in una casa editrice ricca di stimoli e di terreno fertile da cui imparare. Poi sono passata in Garzanti, otto anni fa, dove ho iniziato a lavorare come editor della narrativa straniera. Per poi diventare direttrice della narrativa.
5) A chi si ispira nel suo lavoro sui testi, ha un modello di riferimento? È cambiato nel corso del tempo?
Non ho un modello particolare e credo che lavorare a un testo sia un processo in continua evoluzione. Dipende dal testo e dall’autore che hai davanti, e ogni volta, dall’esperienza con un nuovo scrittore, si impara qualcosa. Quindi, per me, il modello di riferimento sono gli scrittori con cui ho lavorato, che ringrazio tutti perché ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa.
6) Qual è la parte più difficile del suo lavoro? E la più frustrante?
In questo lavoro, come in molti altri del resto, la più grande difficoltà, che però è anche la sfida più bella allo stesso tempo, è essere elastici e disposti a cambiare le proprie vedute. È fondamentale avere nuove idee, trovare nuove strategie, restare aggiornati su tutto e su tutti, non avere pregiudizi. Ed essere sempre curiosi. Memori del fatto che non bisogna dare nulla per scontato, che il prossimo bestseller non sarà mai il clone di un altro, che bisogna guardare e cercare ovunque per trovare nuove voci.
7) Quali autori del passato ha amato? Quali pensa che oggi incontrerebbero difficoltà a essere pubblicati, e perché?
La letteratura generalmente rispecchia la società, nella sua struttura e sovrastruttura. Quindi mi verrebbe da risponderle: nessuno e tutti. Cioè oggi tutti i romanzi del passato incontrerebbero difficoltà a essere pubblicati. Perché la società cambia, di continuo, e addirittura può cambiare da un anno all’altro: quello che magari l’anno scorso trovavo pubblicabile, quest’anno non lo è più per mille e altre ragioni. Quello che una volta era il cuore della vita letteraria di una società (le storie narrate oralmente intorno al fuoco), ora non lo è più. Però, per fortuna, non è sempre e tutto così: ci sono alcune opere letterarie che durano, in eterno, indipendentemente dal periodo storico in cui sono nate. E queste opere sono arrivate fin qua. Tra queste mi piace ricordare quelle che mi hanno segnato. Penso ai filosofi greci e latini. Penso a Seneca, alle poesie di Catullo, o a Platone, ma penso anche ai Promessi sposi. Penso alle ballate e le favole scozzesi che ora posso leggere grazie a Francis James Child, che a fine ottocento le ha fermate nella parola scritta trascrivendole nelle English and Scottish Popular Ballads. O ancora a Piccole Donne, a Cime tempestose Charlotte Bronte, ma anche a Quando Hitler rubò il coniglio rosa di Judith Kerr, o infine a un libro che ho letto da ragazzina che in pochi conoscono che mi ha fatto capire quanto amassi i libri, che si chiama L’isola dei delfini blu di Scott O’ Dell.
8) In che modo è cambiato il modo di leggere? Secondo lei cosa cercano oggi i lettori in un libro?
Leggere non cambia, ma possono cambiare i lettori e i bisogni della società. Prima di tutto, di questi tempi più che mai, il lettore ha bisogno di evasione. Vuole pensare ad altro, vuole entrare in un altro mondo. Non credo ci sia molta differenza tra il lettore che ora legge letteratura d’evasione e colui che alla fine del ottocento leggeva i feuilleton. Ora come adesso chi legge vuole entrare in un altro mondo.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).