Otto domande sul lavoro dell’editor – Chiara Valerio

da | Feb 14, 2014 | Senza categoria

Quarto appuntamento con la serie delle interviste agli editor italiani.
Risponde al questionario di Nuovi Argomenti Chiara Valerio, editor e curatrice della collana narrativa.it per l’editore nottetempo, nonché redattrice della nostra rivista.

1) Quali sono le caratteristiche principali che un libro deve avere per colpire la sua attenzione?
Mi colpisce la lingua. La lingua si porta dietro le parole, le parole si portano dietro la storia,. Leggere per me è diventata sempre di più una faccenda di orecchio. O forse lo è sempre stata, e adesso l’ho capito.

2) Se e in che modo è cambiato il suo modo di leggere negli ultimi anni?
Ho sempre letto con grande voracità, diciamo però che da qualche anno, da quando leggo per valutare l’interesse per la pubblicazione di un testo, mi sono accordata il diritto di dirmi che un libro non mi piace anche prima di finirlo.

3) Quale pensa che sia il ruolo di un editor oggi? Crede che debba influenzare le scelte dell’autore fin dal concepimento dell’opera?
Credo che un editor sia semplicemente un interlocutore. Una figura che, in un’epoca in cui scrivere (per essere pubblicati) è diventata un’attività diffusa, sostituisce l’amico scrittore o intellettuale con il quale chi scriveva, poteva confrontarsi se aveva voglia, o necessità, o curiosità. E riguardo l’influenza, che appunto mi sembra un morbo in ogni caso, e sempre per tornare alle orecchie, io vedo l’editor come un accordatore di pianoforte, ha il pianoforte e ha l’orecchio e gli strumenti per ricostituire una armonia. Un accordatore di pianoforti non potrebbe accordare una panca di legno, neppure se volesse.

4) Ci parli della sua formazione culturale, il suo percorso fra gli autori e le letture.
La risposta vera è noiosa e dipende dalla struttura della libreria dei miei genitori. Ho avuto un percorso alfabetico. O forse me lo ricordo così perché i primi libri che ho amato e che mi sono stati regalati erano enciclopedie. Degli animali, dei pesci e il libro del perché. Che ovviamente erano alfabetici. In ogni modo, vista la voracità di cui mi andavo dicendo prima, non posso ricostruire con esattezza un percorso, ma ho tutto su alcuni quadernetti, ho sempre fatto i riassunti di qualsiasi cosa che leggevo, non so perché, credo ansia di controllo, credo molto tempo da perdere in provincia, credo anche una certa vanità saccente, ma li ho fatti, quindi volendo potrei leggere un percorso. Se i percorsi di lettura fossero cronologici, ma non lo sono. Sono sentimentali, perché i libri sono oggetti sentimentali, transizionali, spesso consolano di altre mancanze. I libri sono l’inverso della simonia, si acquista un bene materiale per avere in cambio un bene spirituale, per questo mi sono sempre piaciuti molto.

5) A chi si ispira nel suo lavoro sui testi, ha un modello di riferimento? È cambiato nel corso del tempo?
Non ho un modello, ho un Frankenstein di riferimento. Gertrude Stein (“le virgole sono per i vigliacchi” o “sono vigliacche” cito con beneficio di inventario), Virginia Woolf (“Quanto al mot juste, ti sbagli completamente. Lo stile è una questione molto semplice, è tutto ritmo”), Saramago per come scrive i dialoghi, Günter Grass per come ne Il tamburo di latta fa rimbalzare il punto di vista, Ginevra Bompiani, nella cui casa editrice [nottetempo] lavoro da diversi anni (“tutto quello che togli, rimane” e anche “no, un libro è almeno tre cose, una storia, una invenzione di una lingua e una invenzione del tempo” a me che dicevo “un libro è almeno tre cose, una storia, una gestione di una lingua e una gestione del tempo”), Gesualdo Bufalino (“riessere questo è il problema”), Thomas Bernhard (“Fondamentalmente siamo capaci di qualsiasi cosa, e altrettanto fondamentalmente siamo destinati a fallire in ogni cosa, così diceva, pensai. A un’unica frase bene riuscita sono stati ridotti i nostri grandi filosofi e i nostri massimi poeti, così diceva, pensai, la verità è questa”). Tutti i teoremi di matematica che insegnano che la ridondanza non ha senso né conseguenza, e che dunque insegnano – o questo è quello che ho capito – che cos’è la necessità narrativa all’interno di un testo. Certo che cambierà, visto che continuerò a leggere. Dove cambiare riguarda solo la forma, non la natura.

6) Qual è la parte più difficile del suo lavoro? E la più frustrante?
Non stancarsi, in mezzo a un linguaggio standardizzato, di cercare qualcosa che non somigli a niente eppure ricordi ogni cosa. Stancarsi, spesso.

7) Quali autori del passato ha amato? Quali pensa che oggi incontrerebbero difficoltà a essere pubblicati, e perché?
Non ci sono autori del passato. Tutti gli autori che amo sono presenti, contemporanei. Vivo da mesi con Flegonte di Tralles (prima metà II secolo d.c.) e il suo libro delle meraviglie, mi sembra dica l’essenziale sul realismo in  letteratura. Non lo dice in effetti, lo scrive. Non è una lezione, è letteratura. Credo che quasi tutti troverebbero difficoltà (se lo immagina Il soccombente che arriva in una casa editrice? O L’uomo senza qualità? O anche Le menzogne della notte?), ma che tutti sarebbero pubblicati. È impossibile non vedere la bellezza. Solo che siamo in un mercato editoriale pavido, ossessionato dal “quanto”, dalle vendite e quindi, se la bellezza la vedono in pochi sembra assai meno bella. Ma è solo un’aberrazione visiva, non è la realtà. Mi è capitato negli ultimi mesi di leggere due romanzi francesi, Par-dessus le toit di Françoise Asso (Verdier, 2013 non tradotto in italiano) e Viviane Élizabeth Fauville (Les Édition de Minuit, 2012, in uscita per Adelphi nella traduzione di L. Di Lella e G. Girimonti Greco), sono due libri con una grammatica inventiva, una lingua sinuosa e che non si preoccupano di rassicurare il lettore sul fatto che le parole costruiscono un mondo che può essere affollato di fantasmi e di risate, può far ridere e far paura, e che può non essere il mondo condiviso, ma va bene ugualmente. Sono scritture consapevoli, giocose e che infatti rallegrano, nonostante le storie raccontare.

8) In che modo è cambiato il modo di leggere? Secondo lei cosa cercano oggi i lettori in un libro?
La lettura mi sembra diventata un’attività collettiva. Una cosa da fare insieme. Pensi alle presenze nei festival letterari e alle assai più scarne vendite in libreria. Credo poi che un lettore cerchi una somiglianza in quello che legge e non più una sorpresa, uno spiazzamento. Dipende, forse, dal fatto che i libri hanno perso la specificità della parola scritta. Ci sono libri che sono sceneggiature, o trattamenti, o giochi di ruolo, storie e cose insomma che potrebbero essere raccontate con un altro linguaggio. Perché leggere libri che non hanno specificità? Nessun motivo.

 

Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).