In quel pomeriggio, cocci di vetro sugl’aridi muri, emanano una luce non vera. La strada sterrata porta l’odore della terra letargica e l’ombra dei pruni una consolazione momentanea. Occhi di lince ti sta spiando da destra a sinistra. La tua macchina è arrivata ormai da tempo. Sta ancora vibrando tra i fumi infuocati di una seconda calura estiva.
Mormorii e rimbombi; la terra trova finalmente sollievo tra le gocce del tuo sudore. Quando stai chinato e porti la vanga al cielo, la ‘Sua forza’ te la ricaccia subito a terra, come di risposta. Ormai è fin troppo chiaro che si tratta di una sfida aperta. Una sfida aperta contro di te.
Dall’alto del muro, Occhi di lince continua a guardare. È immobile mentre tu mastichi il suolo e bofonchi con Dio. Porti una maschera ardente e sputi terriccio sull’epidermide di una terra che muta, creando nuvole nuove di polvere nell’aria. Sono messaggi che non possono parlare e tu lo sai e per questo non te ne preoccupi e vai avanti. Ma Occhi di lince si accascia e tu senti che sta cacciando proprio te. Ti fermi, fermando la vanga che cade. La guardi guardarti e piangi. Hai perso un’altra volta; anche questa, che era veramente l’ultima sfida. L’ultima sfida aperta contro di te.
Ma in cuor tuo lo sai, allora anche tu lo comprendi in quel momento, che è proprio inutile rassegnarsi adesso e decidi di continuare. Dopotutto sei a metà lavoro. Soprattutto sarebbe un peccato darla vinta in questo modo così becero e meschino a Lui. Che tanto ancora ti vede e sempre riuscirà a vederti.
Si fa sera e quelle ombre, che erano state la tua sola consolazione momentanea durante il giorno, si dilatano ormai su tutta la terra. Sei circondato, ne sei inglobato e ora ne fai parte. E ancora continui ad ingoiare il suolo e a soffocarti con la sua polvere. E ancora Occhi di lince è lì e i suoi occhi gialli sono ancora più luccicanti e reali e grevi nella notte. Muove la coda e si siede.
Scavata la fossa, butti il corpo di lui nella terra. Un solo boato ed è subito silenzio, in quel deserto di buio e di piacere: appagamento vivo, per quelle prime frescure serali estive che tanto avevi desiderato. Che in verità, seppur per un attimo, avevi pensato potessero darti un minimo di sollievo. Invochi «Azazel, Azazel!» e ti contorci in quel tuo latrato di bestia; vivo solo nel pianto. Anche tu ora ti getti a terra, piegato dalla ‘Sua forza’. Ridi e Occhi di lince che ti ha osservato tutto il giorno, se ne va. Quel giorno sapevi già fin troppo bene che erano quelli gli occhi predatori del tuo Dio.
Alice Genitoni è nata nel 1996 a Reggio nell’Emilia. Laureata in Lettere, è tuttora studentessa presso Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Dal 2017 ha iniziato a collaborare per alcune redazioni online, continuando a partecipare a vari concorsi letterari e a pubblicare per riviste letterarie emergenti.