[Sul raccontare le favole] Il bambino non ci perde molto, perché lui ha i fumetti, ha la televisione, ha le altre favole… Chi ci perde semmai sono i genitori, che non hanno questo momento di dialogo importante che passa attraverso la fiaba, che è un modo di parlare del mondo, di parlare delle cose. È un modo di entrare nella realtà anziché dalla porta dal tetto, dal camino, dalla finestra. Il linguaggio dei bambini è fatto di immaginazione e di pensiero logico, è tutto insieme. I genitori che lo perdono perdono qualcosa per loro, il bambino trova sempre il modo di usare la propria immaginazione.
Ariete
Il “gioco del niente” lo fanno i bambini stessi, chiudendo gli occhi. Serve a dar corpo alle cose, a isolare dalla loro apparenza la loro sessa esistenza. Il tavolo diventa straordinariamente importante nel momento preciso in cui, mentre lo guardo, io dico: “il tavolo non c’è più”. È come se lo guardassi per la prima volta, non per vedere com’è fatto, questo lo so già, ma per accorgermi che “c’è”, che “esiste”.
Sono convinto che il bambino cominci abbastanza presto a intuire questo rapporto tra essere e non essere. Talvolta lo potete sorprendere mentre abbassa le palpebre per far sparire le cose, le riapre per vederle ricomparire, ripetendo pazientemente l’esercizio. Il filosofo che s’interroga sull’Essere e sul Nulla, usando le maiuscole che toccano di diritto a questi rispettabili e profondi concetti, non fa in sostanza che riprendere, ad alto livello, quel gioco infantile.
Toro
Delle occhiatacce d’odio che ci scambiavamo un quarto d’ora fa, quando il filobus scendeva da Monteverde, non è rimasta traccia: l’aria le ha disperse, il primo calcio al pallone le ha sgominate definitivamente.
Un avvocato è andato per violette e ne ha riempito il suo cappello a lobbia.
“Diritto penale o diritto civile?” gli domando.
“Diritto primaverile”, risponde. “Tutti assolti con lode perché il fatto costituisce reato solo quando non avviene. Il fatto, cioè la felicità.”
È quasi commosso. Si mette in testa il cappello e le violette gli piovono giù per la faccia, sulle spalle della giacca.
Il nuotatore, in mezzo al fiume, fa il morto. Ma forse prega, con la faccia rivolta al sole, con il sole che gli versa nelle palpebre, ad una ad una, mille pagliuzze d’oro.
Gemelli
L’Orso sospirò.
“Se vuoi,” propose, “possiamo essere amici. In fondo non c’è nessuna ragione perché ci vogliamo male. Il mio bisnonno, il celebre Orso Macchiato, mi raccontava di aver sentito dire dai suoi vecchi che una volta si stava tutti in pace, nella foresta.”
“Quei tempi potrebbero ritornare,” disse Cipollino. “Un giorno tutti saremo amici. Gli uomini e gli orsi saranno gentili gli uni con gli altri, e quando si incontreranno si caveranno il cappello.
L’Orso apparve molto imbarazzato. “Allora,” disse, “dovrò comprarmi un cappello, perché non ce l’ho.”
Cipollino rise: “Potrete salutare alla vostra maniera, inchinandovi o dondolandovi graziosamente.
L’Orso si inchinò e si dondolò graziosamente, come aveva suggerito Cipollino.
Cancro
“Mamma, vado a fare una passeggiata.”
“Va’ pure, Giovanni, ma sta’ attento quando attraversi la strada.”
“Va bene, mamma. Ciao, mamma.”
“Sei sempre tanto distratto.”
“Sì, mamma. Ciao, mamma.”
Giovannino esce allegramente e per il primo tratto di strada fa bene attenzione. Ogni tanto si ferma e si tocca.
“Ci sono tutto? Sì,” e ride da solo.
È così contento di stare attento che si mette a saltellare come un passero, ma poi s’incanta a guardare le vetrine, le macchine, le nuvole, e per forza cominciano i guai.
Un signore, molto gentilmente, lo rimprovera:
“Ma che distratto, sei. Vedi? Hai già perso una mano.”
“Uh, è proprio vero. Ma che distratto, sono.”
Si mette a cercare la mano e invece trova un barattolo vuoto. Sarà proprio vuoto? Vediamo. E cosa c’era dentro prima che fosse vuoto? Non sarà mica stato sempre vuoto fin dal primo giorno…
Giovanni si dimentica di cercare la mano, poi si dimentica anche del barattolo, perché ha visto un cane zoppo, ed ecco per raggiungere il cane zoppo prima che volti l’angolo perde tutto un braccio. Ma non se ne accorge nemmeno, e continua a correre.
Una buona donna lo chiama: “Giovanni, Giovanni, il tuo braccio!”
Macché, non sente.
“Pazienza,” dice la buona donna. “Glielo porterò alla sua mamma.”
E va a casa della mamma di Giovanni.
“Signora, ho qui il braccio del suo figliolo.”
“Oh, quel distratto. Io non so più cosa fare e cosa dire.”
“Eh, si sa, i bambini sono tutti così.”
Dopo un po’ arriva un’altra brava donna.
“Signora, ho trovato un piede. Non sarà mica del Giovanni?”
“Ma sì che è suo, lo riconosco dalla scarpa col buco. Oh, che figlio distratto mi è toccato. Non so più cosa fare e cosa dire.”
“Eh, si sa, i bambini sono tutti così.”
Dopo un altro po’ arriva una vecchietta, poi il garzone del fornaio, poi un tranviere, e perfino una maestra in pensione, e tutti portano qualche pezzetto di Giovanni: una gamba, un orecchio, il naso.
“Ma ci può essere un ragazzo più distratto del mio?”
“Eh, signora, i bambini sono tutti così.”
Finalmente arriva Giovanni, saltellando su una gamba sola, senza più orecchie né braccia, ma allegro come sempre, allegro come un passero, e la sua mamma scuote la testa, lo rimette a posto e gli dà un bacio.
“Manca niente, mamma? Sono stato bravo, mamma?”
“Sì Giovanni, sei stato proprio bravo.”
Leone
La mia casa è eternamente “quasi finita”: ha già inghiottito i miei risparmi del prossimo decennio, credo, e più la guardo più mi fa schifo. Per fortuna stando dentro non si può vederla. Potrebbe solo cascarmi addosso: spero nella clemenza della scala Mercalli.
Vergine
Chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala.
Bilancia
Il sole viaggiava in cielo, allegro e glorioso sul suo carro di fuoco, gettando i suoi raggi in tutte le direzioni, con grande rabbia di una nuvola di umore temporalesco, che borbottava: “Sciupone, mano bucata, butta via, butta via i tuoi raggi, vedrai quanti te ne rimangono.”
Nelle vigne ogni acino d’uva che maturava sui tralci rubava un raggio al minuto, o anche due; e non c’era filo d’erba, o ragno, o fiore, o goccia d’acqua, che non si prendesse la sua parte.
“Lascia, lascia che tutti ti derubino: vedrai come ti ringrazieranno, quando non avrai più niente da farti rubare.”
Il sole continuava allegramente il suo viaggio, regalando raggi a milioni, a miliardi, senza contarli.
Solo al tramonto contò i raggi che gli rimanevano: e guarda un po’, non gliene mancava nemmeno uno.
La nuvola, per la sorpresa, si sciolse in grandine. Il sole si tuffò allegramente nel mare.
Scorpione
Titolo: Un discorso dell’onorevole Soppesa. L’ho preparato per il giornale di domani. “L’onorevole Soppesa non ha tenuto ieri alla radio un discorso sulla mortalità dei conigli. Egli non ha esordito tessendo l’elogio del mansueto animaletto, caro alle masse rurali e gradito ai buongustai. Non ha proseguito citando le più recenti statistiche sulla mortalità che colpisce da qualche mese i conigli e non ha concluso il suo dire con una commossa ed elevata perorazione.” […] Pensi che barba se l’onorevole Soppesa avesse parlato davvero alla radio sui conigli, o sulle galline faraone. Bisogna far apprezzare la vita, signor direttore, far comprendere alla gente a quali pericoli e disastri, a quali spaventosi catastrofi scampiamo ogni minuto. Le notizie che accadono realmente sono un’infinitesima parte di quelle che potrebbero accadere realmente. Un giornale moderno deve allargare il suo campo d’informazione al regno del possibile.”
Sagittario
Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi.
“Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?”
Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu, di un blu che così blu il cielo di Milano non era stato mai.
In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano: “Lei non sa chi sono io!”
Gli spiritosi lanciavano frizzi: “Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.”
“Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.”
“Col giallo sapete che fanno? Allungano l’olio d’oliva.” Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all’incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare: “Poveretti! Io avevo dato il segnale di via libera per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio.”
Capricorno
A vedere per primi le cose, si può passare per sognatori, perché il tempo della storia non è mai quello dell’individuo e le cose non maturano a stagioni fisse, come le pesche. Marx non era un fantasticatore, ma aveva una fortissima immaginazione.
E non nego che ce ne voglia una buona dose anche oggi, di immaginazione, per vedere oltre la scuola com’è, per figurarsi il crollo delle sue mura di “riformatorio a ore”.
Ma ce ne vuole anche per credere che il mondo possa continuare e diventare più umano. È di moda l’Apocalisse. Le classi che vedono tramontare il loro dominio vivono questo tramonto in chiave di catastrofe universale, leggendo nelle carte ecologiche come nell’Anno Mille gli astrologi leggevano nelle stelle.
Acquario
I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull’ultima pagina
la “Piccola Pubblicità”.
“Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perché tirano la coda”.
“Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Precisare referenze
e conto in macelleria”.
“Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio.”
“Vegetariano, scapolo,
cerca ricco lattaio”.
I gatti senza casa
la domenica dopo pranzo
leggono questi avvisi
più belli di un romanzo:
per un’oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno a prepararsi
per i loro concerti.
Pesci
Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore. Viaggia e viaggia, una volta capitò in un paese dove gli spigoli delle case erano rotondi, e i tetti non finivano a punta ma con una gobba dolcissima. Lungo la strada correva una siepe di rose e a Giovannino venne lì per lì l’idea di infilarsene una all’occhiello. Mentre coglieva la rosa faceva molta attenzione a non pungersi con le spine, ma si accorse subito che le spine non pungevano mica, non avevano punta e parevano di gomma, e facevano il solletico alla mano.
“Guarda, guarda,” disse Giovannino ad alta voce.
Di dietro la siepe si affacciò una guardia municipale, sorridendo.
“Non lo sapeva che è vietato cogliere le rose?”
“Mi dispiace, non ci ho pensato.”
“Allora pagherà soltanto mezza multa,” disse la guardia, che con quel sorriso avrebbe potuto benissimo essere l’omino di burro che portava Pinocchio al Paese dei Balocchi. Giovannino osservò che la guardia scriveva la multa con una matita senza punta, e gli scappò di dire: “Scusi, mi fa vedere la sua sciabola?”
“Volentieri,” disse la guardia. E naturalmente nemmeno la sciabola aveva la punta.
“Ma che paese è questo?” domandò Giovannino.
“Il Paese senza punta,” rispose la guardia, con tanta gentilezza che le sue parole si dovrebbero scrivere tutte con la lettera maiuscola.
“E per i chiodi come fate?”
“Li abbiamo aboliti da un pezzo, facciamo tutto con la colla. E adesso, per favore, mi dia due schiaffi.”
Giovannino spalancò la bocca come se dovesse inghiottire una torta intera.
“Per carità, non voglio mica finire in prigione per oltraggio a pubblico ufficiale. I due schiaffi, semmai, dovrei riceverli, non darli.”
“Ma qui usa così,” spiegò gentilmente la guardia, “per una multa intera quattro schiaffi, per mezza multa due soli.”
“Alla guardia?”
“Alla guardia.”
“Ma è ingiusto, è terribile.”
“Certo che è ingiusto, certo che è terribile,” disse la guardia. “La cosa è tanto odiosa che la gente, per non essere costretta a schiaffeggiare dei poveretti senza colpa, si guarda bene dal fare niente contro la legge. Su, mi dia quei due schiaffi, e un’altra volta stia più attento.”
“Ma io non le voglio dare nemmeno un buffetto sulla guancia: le farò una carezza, invece.”
“Quand’è così,” concluse la guardia, “dovrò riaccompagnarla alla frontiera.”
E Giovannino, umiliatissimo, fu costretto ad abbandonare il Paese senza punta. Ma ancor oggi sogna di poterci tornare, per viverci nel più gentile dei modi, in una bella casetta col tetto senza punta.
Caterina Di Paolo
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).