Un breve scambio di battute con Marina Sangiorgi, autrice di “La vita azzurra vola” (di seguito, il racconto).
Francesco Pacifico
Cosa ti piace leggere?
Marina Sangiorgi
Amo leggere, anzi rileggere: Tolstoj, Scott Fitzgerald, Pavese e Cechov.
FP
Be’, di tutti e quattro direi che ci vedo l’amore per Cechov. Nel tuo racconto c’è un amore per i dettagli che rivelano la tristezza dei personaggi con delicatezza e nettezza al tempo stesso, in un modo a volte ineffabile.
Per esempio: “La direttrice osserva per un attimo il cactus fiorito sulla mia scrivania, se ne va.” O l’insistenza sulla pausa caffè: “Spingo il pulsante del caffè lungo, mi chino a guardare che scenda il liquido nel bicchiere, sollevo la paretina di plastica, prendo il bicchiere, che scotta un po’, glielo porto.”
E mi piace come a questi dettagli che fanno sentire molto zitella la narratrice single vengano alternati slanci romantici come: “Che donna moderna che sono. Sono sola, e questo è così moderno”. E mi piace che poi cerchi di cambiare la percezione comune del concetto di single: “Ma tutte le cose moderne sono vecchie come il cucco, e di donne sole ce n’erano anche mille anni fa. Facevano le zie, anche a quei tempi.” Anche se “mille anni fa” mi pare un po’ impreciso. Forse stai parlando più che altro dei centocinquant’anni precedenti gli anni sessanta.
Che ne pensi? Che volevi fare in questo racconto?
MS
Il cactus fiorito è un omaggio a Ingrid Bergman del film Fiore di cactus.
La pausa caffè, per la narratrice, non è mai abbastanza lunga.
Mille anni fa è un’iperbole, vuol dire sempre, in effetti in modo impreciso storicamente (ma credo, nella realtà dei fatti, vero).
In questo racconto il mio intento è fare un po’ di ironia su una condizione di inquieta solitudine.
FP
Mi è dispiaciuto un po’ che nel finale tu abbia perso il controllo che avevi sulla parte più struggente del racconto. Le affermazioni della voce narrante sull’essere una zia, o sul dover fare tutto da sé (per trovarsi un uomo), stanno in un equilibrio felice con le descrizioni precise e un po’ tristi, ma alla fine, “e tutto comincia di nuovo, tanto simile a un ennesimo precipitare che sento già lo schianto, la caduta finale”, da lì diventa tutta una metafora un po’ sbrigativa che va a disperdere tutta la precisione con cui ci avevi portati a vedere l’inevitabile approccio con il nuovo collega.
A parte questo, scrivi tanto?, scrivi solo racconti?
MS
Mi dispiace che non ti sia piaciuto il finale, di cui invece sono abbastanza contenta, per il ritmo e la metafora del volo-nuoto ecc, anche se non è una cosa pensata: mi è venuto in mente, l’ho scritto, l’ho riletto e non mi sembrava male.
Scrivo racconti, monologhi e dialoghi per il teatro. Scrivo sempre cose brevi. Ultimamente scrivo di mattina, ma non tutte le mattine, ogni tanto.
LA VITA AZZURRA VOLA*
La direttrice si ferma sulla porta e mi chiama: – Magda! –
Alzo gli occhi.
– Il fax non è ancora arrivato – dice, e mi guarda.
– Be’, riprovo –
Accidenti al fax, non si poteva mandare una mail?
La direttrice osserva per un attimo il cactus fiorito sulla mia scrivania, se ne va.
Stefano si alza, dice: – Ci penso io –
– Grazie, ti offro un caffè –
Spingo il pulsante del caffè lungo, mi chino a guardare che scenda il liquido nel bicchiere, sollevo la paretina di plastica, prendo il bicchiere, che scotta un po’, glielo porto.
– Come va oggi? – chiede.
– Insomma – dico.
È un periodo abbastanza buono. Certo, a volte la sento la voragine che si spalanca sotto i piedi. Da quando ho compiuto i quarant’anni piango tutti i giorni alle undici. Vado in bagno, seduta sul coperchio del water singhiozzo piano, torno al mio posto con gli occhi rossi.
– Che hai? – mi chiede Stefano.
– L’allergia –
È così, una specie di allergia alla vita, che pure mi piace così tanto; mi piace stare in spiaggia anche se la pelle si brucia, mi piace il mare anche se ho paura dell’acqua, mi piace la linea laggiù tra i due azzurri, la linea che intravedo nettissima tra il mare e il cielo.
In pausa pranzo chiedo a Stefano perché non fa figli. Da cinque anni vive con Cristina. Li vado a trovare, lei cucina, d’inverno fa lasagne squisite, larghe come strade.
– Stiamo bene così – mi dice – Non è sempre necessario –
Non è necessario, ma è meglio. Che buon utilizzo del tempo e del corpo, dello spazio, i bambini.
– Neanche tu fai figli – dice.
– Certo, sono moderna -, e addento il panino con tanto slancio che la farcitura di tonno e uova cade nel piatto.
Che donna moderna che sono. Sono sola, e questo è così moderno. Ma tutte le cose moderne sono vecchie come il cucco, e di donne sole ce n’erano anche mille anni fa. Facevano le zie, anche a quei tempi. Le mie nipotine mi strillano dalle altre stanze – zia, zia – e io corro, mi faccio pettinare, seduta sul tappeto gioco con le Barbie.
Invecchio e la vedo la striscia bianca allargarsi nei capelli.
Invecchio e mi piace l’odore di plastica morbida della Barbie: le metto un vestito sgargiante, da sera, e i sandaletti minuscoli ai suoi piedi fintissimi, forzati al tacco dodici. Per me niente tacchi, poco trucco e sciarpa al collo appena accendono l’aria condizionata. Per me un’altra estate allegramente disperata. Per me un po’ d’amore, se possibile, per favore.
Mi toccherà fare un’ altra volta tutto io, in quest’epoca moderna in cui donne moderne prendono l’iniziativa. Farò qualcosa, mi conosco, non starò zitta, non farò finta di niente aspettando che mi passi.
Lui ha occhi belli e grandi, intensi, scuri. È appena arrivato, la direttrice ha detto di mettere a posto l’archivio, ci siamo visti due pomeriggi. Parla poco, è gentile, ogni tanto fa battute che mi fanno ridere davvero.
Lo incontro all’uscita, – Mi offri da bere? – propongo, purtroppo deve andare, ha un impegno, un’altra volta si può fare, certo, bene, ciao.
Che sospiri mi escono dal petto, sospironi angosciosi, potenti come uragani, immensi. Il fatto è che desidero, terribilmente, ancora.
E stamattina vago per i corridoi, scendo e salgo le scale, – Buongiorno Magda -, incrocio la direttrice: sempre molto elegante, piega perfetta, rossetto color pesca.
– Buongiorno -, cammino spedita, non sto lavorando ma giro sperando di incontrarlo, infatti eccolo, alla fotocopiatrice, – Ciao – dico, lui mi sorride, e tutto comincia di nuovo, tanto simile a un ennesimo precipitare che sento già lo schianto, la caduta finale – a meno che stavolta per miracolo dopo la rincorsa e il salto, mentre affondo nel vuoto, a un passo dal suolo invece di rovinarmi, di frantumarmi in mille pezzi, io riesca a sollevarmi, con una spinta delle gambe, e impari a spalancare le braccia, a planare, a volare, a salire, e infine appoggiarmi, delicatamente, nell’aria come fosse acqua, e galleggiare.
* La vita azzurra vola è un verso di Stefano Maldini, poeta nato nel 1972 a Cesena (presente nel recente censimento di Pordenonelegge).
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).