Come vengono rappresentati i manager e gli artisti – scrittori, poeti, musicisti, registi, pittori, scultori – nei media, ovvero nei giornali, nei libri, al cinema, in tivù? Nella maggior parte dei casi i manager sono cattivi, mentre gli artisti sono buoni. Credo che un tale manicheismo sia dovuto al fatto che le rappresentazioni nei media, tanto di manager che di artisti, sono prodotte da creativi (giornalisti, sceneggiatori), affini agli artisti, e da artisti (scrittori). In una minoranza di casi l’artista è cattivo ma è un grande: cattivo con gli uomini, generoso con l’umanità. Ha abbandonato moglie e figli, ha tradito gli amici, ha rubato, ha financo ucciso, ma ha donato all’umanità capolavori che rimarranno per sempre. Il manager non lascia nulla di grande, di imperituro, di nobile; lascia sostanze agli eredi, e pingui bilanci agli azionisti ottenuti con lacrime e sangue. Naturalmente i media non fanno confusione fra manager e imprenditori: ai secondi, che evidentemente considerano affini agli artisti, è riservato un trattamento di riguardo. Di norma l’imprenditore è rappresentato come un visionario che costruisce per gli altri un mondo migliore, è circondato da adoranti manager esecutori, e viene tradito da un manager che si è stufato di eseguire.
A me pare che naturalmente esistano differenze fra manager e artisti, ma non del tipo buono/ cattivo, e che certamente dette differenze, almeno dagli anni ottanta, non riguardino più l’accesso alla creatività. A partire da quegli anni il lavoro non è più alienazione, ma diventa espressione del sè. La creatività irrompe nella impresa, in tutta l’impresa, pompata da un decennio di formazione e di pubblicistica; e a tutti, dai manager alle centraliniste, viene richiesto di produrre idee, di produrre innovazione, di cambiare ripetutamente prospettiva allo sguardo. Il “lei non è pagato per pensare”, rovesciato dal superiore al subalterno, si capovolge in “lei è pagato per pensare”. E se la creatività entra a pieno titolo nel lavoro, allora si abbatte lo storico steccato fra lavoro ed arte. Nel nostro tempo, il ricorso alla immaginazione rispetto alla logica nel lavoro manageriale è diventato un ossessivo paradigma.
Quali sono allora le differenze fra il manager e l’artista? Chi ha avuto la possibilità di sperimentarsi in entrambi i ruoli, ancorchè con risultati infimi – si sa infatti che la psicologia di una grande manager o di un grande artista non differisce in nulla dalla psicologia di un infimo manager o di un infimo artista – conosce queste differenze a menadito, tanto da poterle elencare una ad una.
L’artista si crede un figo. Il manager è pagato per stanare i fighi, e licenziarli. L’artista vede una donna bella e scopre una donna sensibile e intelligente. Il manager vede una donna bella, e scopre un donna bella. L’artista usa gli altri per se stesso. Il manager usa gli altri per l’organizzazione. L’artista cerca successo, fama, danaro. Il manager cerca soluzioni ai problemi. L’artista nutre il proprio ego. Il manager lo lascia morire. L’artista si circonda di persone che non potranno mai diventare come lui. Il manager è circondato da persone che lo sostituiranno. L’artista fa sesso e si ritrova all’inferno o in paradiso. Il manager fa sesso e si ritrova su un letto sfatto. L’artista idealizza e trasfigura. Il manager realizza e configura. L’artista realizza cose che nessuno ritiene di saper fare. Il manager realizza cose che tutti dicono di saper fare, e nessuno fa. L’artista è solo quando crea. Il manager è solo sempre.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).