V + As + Co + Br + O + Nd + I → VAsCo BrONdI
(vanadio, arsenico, cobalto, bromo, ossigeno, neomidio, iodio)
Il regime della nostra turbolenza
«Strato dopo strato continuo a scavare. Scendo nei dettagli di un mondo che, negli anni, mi è scorso davanti a grandi linee, ma senza che abbia mai potuto capirci qualcosa. Attento agli smottamenti, con le mani, le braccia, le ginocchia, e ora anche con le spalle, il naso, gli occhi sprofondo in quel mondo compattato e in certi momenti sono quasi sicuro di riuscire a sentire la vita delle cose»
Paolo Zanotti, Il testamento Disney, Ponte alle Grazie, 2013
C’è un posto per me dove tutto quello che succede riesce a esistere davvero: un punto del mondo in cui la mia mente finisce sempre per riportare la mia vita, così da poterla misurare. Si tratta di un tavolino di legno che sta sotto a un pergolato di viti centenarie, rampicanti, in un ettaro e un quarto di terra dove la mia famiglia, da generazioni, coltiva l’uva, le zucchine, i pomodori. Dietro al pergolato c’è una casetta di poco più di dieci metri quadrati che viene usata come piccola rimessa e, di fianco, un pozzo romano ormai chiuso, con una pancia di sassi a secco che, un tempo, veniva riempita dalle piogge e usata per innaffiare, con carrucola e secchio. Ha costruito tutto il mio bisnonno, più di settant’anni fa, poi ci ha pensato mio nonno e adesso mio padre: molte assi della casetta sono state sostituite, quindi non tutto è simmetrico, ma sopra la porta c’è sempre la stessa testa di cervo, in plastica, con le corna mozzate.
Quel tavolino è l’unità di misura di me stessa e quel posto è il sistema di riferimento rispetto al quale osservo i vortici, le accelerazioni, il buio di certe notti, i desideri, la rabbia, le partenze, qualche resurrezione, il peso delle macerie e l’insistenza degli universi che incontro. Quelle viti, quella casetta, quel pozzo sono la mia topografia.
Quando ho ascoltato Terra, l’ultimo disco de Le Luci della Centrale Elettrica, ho pensato che quei brani erano il posto in cui Vasco Brondi aveva voluto misurare la sua vita e la nostra, una terra insieme minuscola e maiuscola, polverosa e incantevole.
La nostra esistenza è una collezione di turbolenze, moti caotici e traiettorie disordinate; il nostro presente è aggrovigliato in una foresta di innesti per lo più incomprensibili; eppure noi rimaniamo in piedi, asintoticamente appoggiati su noi stessi, a dirci che adesso siamo qui e che è un super potere essere vulnerabili.
Un vento inesistente, i nostri futuri anteriori: il vanadio
[Simbolo dell’elemento: V / Numero atomico: 23 / Serie: metalli di transizione]
Ne L’isola di Arturo, a un certo punto, Elsa Morante scrive: «Il presente mi pareva un’epoca perenne, come una festa di fate», una frase che si frappone tra la libertà e il dolore, tra le promesse e le scoperte. A quasi dieci anni dal suo esordio, Vasco Brondi ha scritto un disco che è come una festa di fate: un presente imprevedibile e multiforme che, se non fosse vero, sembrerebbe confusamente immaginifico, irreale.
Dopo Canzoni da spiaggia deturpata, Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero, Per ora noi la chiameremo felicità. Dopo C’eravamo abbastanza amati e Un campo lungo cinematografico. Dopo Le scie che lasciano gli aerei e Costellazioni. Dopo Anime Galleggianti. Dopo le tantissime collaborazioni, i riconoscimenti, i cicloni, i racconti, le particelle in movimento e i viaggi, Vasco Brondi si è seduto nel centro geometrico della sua tempesta e ha raccontato il presente.
Un presente che non è come quel tempo infantile in cui il futuro non esiste solo perché non è interessante e i funghi hanno sempre e immotivatamente cappelli rossi con piccole macchie bianche sopra, no: il presente di Vasco Brondi è un tempo in cui le fate sono uragani, migranti, stelle, città e moscerini; un tempo in cui si vive, si muore, si fallisce e si è felici. Nel presente di Terra, il fungo disegnato dai bambini è l’unica manifestazione di vanadio puro esistente in natura: si tratta dell’amanita muscaria (o ovolo malefico, che dir si voglia), un fungo velenoso, tossico, ma bellissimo.
Mentre crollavano i poster: l’arsenico
[Simbolo dell’elemento: As / Numero atomico: 33 / Serie: metalloidi]
Da qualche parte, però, sotto ai pergolati della nostra vita, in mezzo alle forze viscose e a quelle d’inerzia, c’è un prima. Un prima fatto di parole che molto spesso ci sono state versate alla traditora da un anello con una pancia di sassi a secco, dentro cui l’arsenico è mescolato in polvere con i nostri desideri: le piogge lo hanno riempito di giorni che noi abbiamo tirato fuori con carrucola e secchio e che, nonostante siano passati, resistono.
I tuoi capelli sono fili scoperti. Anidride carbonica. Non capisci gli incubi dei pesci rossi. Con questo tempo è meglio non prendere gli ascensori. Un bar sulla via lattea. I nostri sogni sfondavano i soffitti. Sulle puttane in Viale Europa ricominciava a nevicare. Di quest’epoca non resteranno neanche delle belle rovine. Venere del mio intestino tenue. E se gli alberghi appena costruiti coprono i tramonti. Luminosa natura morta con ragazza al computer. Per combattere l’acne. I lunedì difettosi. Sventoleremo le nostre radiografie per non fraintenderci. E i CCCP non ci sono più. Che cos’è che tiene insieme il sistema solare e tutte ‘ste famiglie. Per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti. Una constatazione amichevole del nostro niente. Alla magia che tutto sia senza senso. Di quando sono arrivati gli artificieri e ci hanno disinnescati. Una guerra fredda. Apri la cronologia degli ultimi anni. Com’è difficile tenersi uniti. Spareremo dei forse da tutte le finestre. Macchine veloci e post-punk inglese. Coi pianeti che ci precipitano in cucina e ci disfano i letti. Un cielo notturno illuminato a giorno. Per brillare come le mine e le stelle polari. Un grande amore qualsiasi. Com’è difficile tenersi uniti. Il blu oltremare delle nostre anime assiderate. Dammi solo quello che mi disorienta. I nostri sogni assurdi che si sono avverati.
Un rumore di scontri e di feste: il cobalto
[Simbolo dell’elemento: Co / Numero atomico: 27 / Serie: metalli di transizione]
Quest’ultimo disco di Vasco Brondi ha un ritmo circadiano, inizia con un’alba di resurrezione e presenza, passa per una sera che cade su una bella e malandata Europa multiculturale, piena di attentati, migrazioni, piccole fughe e studiati ritorni, per poi finire con un compendio notturno di disordini e sentinelle, vite, morti, miracoli e orizzonti senza limiti. Un orologio peculiare, come peculiare è sempre stato lo sguardo di questo cantautore, che non ha fatto altro che usare il cielo come metafora del colore del mondo.
Un cielo che è stato nero, malconcio, indecifrabile, stellato, bianco, da rottamare, grigio perla e grigio nero, notturno illuminato a giorno, dipinto con i pennarelli scarichi, coperto da copertoni bruciati, d’argento, in disordine.
Un cielo che ora è sereno, limpido, azzurro immenso dopo il temporale, insuperato e superato, senza limiti, dopo che ha diluviato. Un cielo sempre più blu, blu metallizzato.
Quando il monossido di cobalto viene sinterizzato con l’ossido di alluminio nasce l’alluminato di cobalto, più noto come blu cobalto, blu di Thénard o blu di Desdra, un colore chimicamente stabile, non degradabile, resistente alla luce, praticamente imbattibile.
Solitudine o moltitudine: il bromo e lo iodio
[Simbolo degli elementi: Br e I / Numero atomico: 35 e 53 / Serie: alogeni]
In Fondamenti di chimica, Paolo Silvestroni spiega che «per la loro elevata reattività, gli elementi del settimo gruppo, indicati come alogeni, si trovano in natura soltanto sotto forma di composti, nessuno è presente in quantità elevata, ma tutti sono assai distribuiti sulla Terra, e quantità sensibili o tracce di alogeni si trovano nell’aria, nell’idrosfera, nella litosfera e in ogni essere vivente». Il bromo, per esempio, è contenuto nell’acqua del mare, così come lo iodio che però è anche nei giacimenti e negli organismi viventi. Entrambi sono elementi che necessitano precauzione: il bromo perché, a contatto con l’epidermide, «produce ustioni che scompaiono assai lentamente»; lo iodio perché provoca lesioni e irritazioni.
Pensando a queste occorrenze e al fatto che questo pianeta è chiamato Terra, anche se come noi è quasi soltanto acqua, mi è venuto in mente quando Jonathan Safran Foer, in Eccomi (Guanda, 2016), scrive: «(Essendo l’anima l’unica cosa che richiede di essere dispersa per accumularsi)». Lo scrive così, tra parentesi, nello stesso libro in cui dice: «Avevano ascoltato l’acqua insieme. Una conchiglia portata all’orecchio diventa una camera dell’eco del proprio sistema circolatorio. L’oceano che senti è il tuo stesso sangue».
Mi sono detta che, magari, il punto è che le nostre anime sono alogene.
I destini generali: l’ossigeno
[Simbolo dell’elemento: O / Numero atomico: 8 / Serie: non metalli]
Cos’è che ci rende unici e fragili, con sette vite e sette miliardi di desideri. Tracce sparite nel vento. I segreti illuminati e in fila esposti. Poi continuare a vivere e non avere niente da perdere. E tu che dimentichi che è una corsa a ostacoli. Grandi spettacoli e problemi irrisolvibili. Le case in cui avresti voluto vivere. Il teatro di Grotowski, lo yoga, la meditazione. Coprifuoco. Bambini come oracoli. Tra le tue origini e il tuo destino. Fiori che crescono su ogni abbandono. Fronti siriani. Come noi tra un amore e una guerra. Dove il terreno come te, a volte, è arido. Contare i secondi tra i lampi e i tuoni. Una vaga idea di futuro migliore. Mezze maratone per raggiungere il tuo cuore irraggiungibile. Le cantilene, le carte nautiche e le fantasie. Superpotenze debolissime. In una città cinese in Africa. Dove sarà tutta quella felicità. Iperconnessi. In qualche modo hai aperto il chakra del tuo cuore. Eravamo diversi come due gocce d’acqua. Cantami o diva l’ira della rete. Giorni di miracoli. Un altro eroe da dimenticare. Posti dove il wi-fi non arriverà mai. A parte il freddo non si sta poi così male. Hai visto all’improvviso è arrivato il futuro. Parli di viaggi interstellari. Ballare scoordinati. Cartoline. Tu cerchi di evitarti. Fare caso a quando siamo felici. Aerei militari che come certi baci non fanno rumore. La febbre alta a Tangeri. Conchiglia. Dove sono possibili cose impossibili. Non lo diremo a nessuno. Tu mi allontani e poi mi pensi. La morte di tuo padre, un’esplosione interstellare. In questa città dove si infrange l’onda migratoria. Vivere in un seminterrato o su una scogliera. Nazioni con i debiti. Le nostre storie sono troppo belle, non cercare di capirle. I desideri inespressi dove si sono nascosti. Mi liberi dal male, ti libero dal male.
Un milione di cose da immaginarsi: il neomidio
[Simbolo dell’elemento: Nd / Numero atomico: 60 / Serie: lantanidi]
«(…) lascio, a chi resta, aurore boreali,
e re di topi, e donnette barbute:
lascio i cavalli di Frisia e di Troia,
la Juve, i virus, la Nato, le virgole:
e così lascio lotterie e locande,
rebus, rosari, apriscatole e scatole,
dischi di Ellington, film con la Vlady,
vezzeggiativi, tinche e venerdì:
dopo di me verranno i nuovi Adami,
con ittiosauri e minotauri e lauri,
e con minoici, e marziani, e gesuiti:
e nuove esposizioni universali,
gare mondiali, guerre nucleari,
e imperi d’Occidente, e maomettiani:
dopo di me, il diluvio, e le pallottole,
e le famiglie, le scarpe, le trottole:»
Novissimum Testamentum (Il gatto lupesco, Feltrinelli, 2002) è il modo incredibile in cui Edoardo Sanguineti racconta della sua rinuncia all’universo. Ed è un esempio perfetto per dire che cosa sono il neomidio e Vasco Brondi e come si entra di diritto tra le terre rare: così, con questa capacità unica di raccontare il mondo.
Quando misuriamo le nostre vite, tra assi di legno, casette, asimmetrie, zucchine, teste di plastica di un cervo senza corna e pozzi, molto spesso ci mettiamo a scavare. Esattamente come fa Paperoga alla fine de Il testamento Disney di Paolo Zanotti, scaviamo tra i rifiuti, in mezzo alla nostra immaginazione, guardando la realtà per capire cos’è che veramente vogliamo da questa vita. Noi, non tutti gli altri. Cerchiamo di recuperare i nostri desideri veri, quelli che finiscono per perdersi anche quando facciamo attenzione.
Questo disco, Terra, è un posto in cui scavare, dal quale fuggire e nel quale andare. Atterra e decolla, vola grazie alle turbolenze, alle immagini, all’entalpia, alle sensazioni, all’energia cinetica, sostenuto da un getto che siamo noi stessi, questo mondo e tutti i nostri limiti. E così ci guardiamo, e ci guardiamo guardarci, in quel gioco infinito di specchi che è la nostra topografia.
Elisa Casseri è nata a Latina nel 1984 ed è laureata in Ingegneria Meccanica. Autrice del blog "Memorie di una bevitrice di Estathè", ha pubblicato il suo romanzo d’esordio "Teoria idraulica delle famiglie" per Elliot nel 2014. Nel 2015, ha vinto la 53° edizione del Premio Riccione per il Teatro con il testo "L’orizzonte degli eventi". Il suo ultimo libro è "La botanica delle bugie" (Fandango, 2019).