1. Julian Barnes, Con un occhio aperto, Einaudi
A differenza dei critici, alla ricerca del significato e del sublime, gli scrittori sono soprattutto interessati alle storie. E, non esistendo storie senza personaggi, parlare d’arte, per un romanziere come Julian Barnes, vuol dire dipingere le vite dei pittori. Nessun desiderio di creare una qualche teoria, in equilibrio tra giochi di immaginazione e meraviglia: la sua è una ricerca nella psicologia degli artisti, filosofia di vita, abitudini mondane, il rapporto con l’altro, con la società, e con la propria opera. Non si tratta però di un tentativo di trovare l’umano nell’arte, quanto un memorandum: per creare bisogna vivere.
Lontani dalla facile retorica dell’applauso per il talento, seguiamo i diciassette pittori nelle loro peripezie, attenti ai dettagli delle loro idiosincrasie – l’ossessione di Degas per i capelli, l’arroganza “pubblicitaria” di Courbet, la competizione tra Braque e Picasso… «L’arte non si limita a catturare e trasmettere la tensione emotiva, il fremito della vita. Talvolta fa qualcosa di più: è essa stessa quel fremito».
Traduzione di Daniela Fargione.
2. Bernard Malamud, Tutti i racconti, Minimum Fax
«La lingua gli pendeva in bocca come un frutto morto sull’albero».
Flannery O’Connor diceva che Bernard Malamud era più bravo di lei a scrivere racconti; ce lo ricorda Emanuele Trevi nell’introduzione, dove avanza l’idea che fosse proprio Malamud il personaggio su cui Roth (che ne scrisse il necrologio sul New York Times) basò il vecchio autore che il giovane Zuckerman va a trovare ne Lo scrittore fantasma.
Minimum Fax ha raccolto in due bei volumi rossi tutti i racconti dell’autore de Il commesso, tra cui alcuni inediti in italiano. «Storie, storie, storie: per me non esiste altro» diceva. Storie di condominii newyorkesi con i tubi che gocciolano e l’affitto da pagare, uccelli parlanti, artisti falliti, figli di macellai stanchi di mangiar carne, – «odio le budella e le penne di gallina» – storie di conflitti generazionali eterni, roba di mestieri, soldi e radici e invocazioni ad Ashem e gente «che fissava con gli occhi arrossati le pantomime dei piccioni sul tetto della casa di fronte».
Le traduzioni sono di: G. Garbellini, I. Legati, V. Mantovani, D. Migone e I. Omboni.
3. Pezzi da museo, a cura di Maggie Fergusson, Sellerio
Ognuno dei ventidue scrittori di questa raccolta osserva, tocca, immagina, camminando tra le sale di un museo, dai più istituzionali, il Prado o il Louvre, a quelli più atipici e curiosi, come il museo delle relazioni interrotte di Zagabria, dove gli amanti affranti lasciano oggetti che contengono il ricordo dell’amore finito. Riflessione su cos’è – oggi – il museo, ma soprattutto su cosa può tirare fuori dal cervello di scrittrici e scrittori l’osservazione di oggetti, l’ordine, la storia di una collezione, i ricordi di una visita nelle stesse sale, venti anni fa.
Ali Smith va a Capri, «una metamorfosi senza fine tra la nebbia e la rivelazione» a Villa San Michele, giardini e sfingi di pietra coperte d’edera, costruita da un uomo, Axel Munthe, svedese e amante degli uccelli, «che una volta si fece ricompensare sotto forma di un babbuino alcolizzato»; Ann Wroe va a Dove Cottage, «cellula nutrice» delle poesie migliori di William Wordsworth, lì viveva con moglie e sorella, nel Lake District, dove piove sempre, e la luce evocata dai poeti «è sempre tangibile»; William Boyd, che in gioventù sognava di diventare pittore, tra le sale del Leopold Museum di Vienna – che gli appare quasi come «una fortezza inespugnabile» – si interroga sulla fama tardiva di Schiele, le cui opere funzionano per lui «come infallibile innesco proustiano, consentendomi di ripercorrere velocemente la mia adolescenza e i suoi sogni febbrili».
Traduzione di Pavlov Dogg.
4. E.M. Cioran & Mircea Eliade, Una segreta complicità, Adelphi
«Vieni presto a Parigi per lamentarci assieme».
Come tanti intellettuali sia Cioran che Eliade finirono a Parigi. Dalle lettere che Adelphi pubblica in questo volume si vede un volto inedito, eppure quasi aspettato, di questi due, entrambi rumeni in esilio, “frenetici cloroformizzati dal dubbio”. Cioran, peso massimo del pessimismo, mostra una tenerezza nei confronti dell’amico, in cui finisce addirittura per esprimere delle gradevoli banalità contro i problemi pratici della vita che lo rendono vero, umano (si lamenta ad esempio dei lavori che ha dovuto fare nel nuovo appartamento). Eliade, invece, sommo viaggiatore, tra Lisbona, Chicago, Santa Barbara, consiglia al filosofo di andare a sciare, perché la neve ha «un effetto rigenerante». Si scambiano libri, commenti sulla politica, criticano Sartre.
Cioran stima così tanto la produttività dell’amico da scrivergli: «quando penso alla tua attività veramente esemplare e alla tua fecondità, la mia condizione mi appare talmente penosa che non posso pensarci senza vergogna o rimpianto».
A cura di Massimo Carloni e Horia Cornelius Cicortaš.
5. Angelo D’Orsi, L’intellettuale antifascista, Neri Pozza
«Leone, la sua capacità d’ascoltare era ancora incommensurabile e infinita; e sapeva ascoltare i fatti degli altri con profonda attenzione, anche quando era profondamente assorto a pensare a se stesso». Scrive in Lessico famigliare, Natalia Ginzburg, raccontando di quando iniziò a frequentare il giovane Leone, prima di sposarlo, prima che lui cadesse vittima della violenza nazi-fascista, picchiato fino a morire nel carcere di Regina Coeli.
Questa dettagliata biografia ci dona un quadro avvincente dell’intellettuale errante, che nasce a Odessa, va in vacanza a Forte dei Marmi, è a Roma e al confino in Abruzzo, dove Croce si interessa alla sua causa. A Torino, dove è amico di Pavese, inizia a frequentare i Levi, si sposa, e diventa il primo direttore editoriale delle neonata Einaudi. «La sua erudizione sembra infinita. E ancora non ha scelto veramente la sua strada, in fondo condizionato dai suoi tanti saperi, che lo portano a oscillare da Manzoni a Maupassant, da Ariosto a Tolstoj, dalla filologia romanza alla storia europea. Sa fare ricerca, sa tradurre, sa editare un testo[…] sa scoprire talenti ed eccitare la voglia di fare».
6. Susan Sontag, La coscienza imbrigliata al corpo, nottetempo
«Penso – parlo – per immagini. Non so come metterle per iscritto. Ogni sentimento è fisico». Leggendo queste annotazioni è quanto più possibile avvicinarci alla mente di Susan Sontag. Flusso ed epigramma, un misto tra pagine di un diario intimo – «Sono sola. Adesso lo so. Forse lo sarò per sempre» e note intellettuali – come liste di «romanzi con una struttura cinematografica», e commenti a caldo sulla società e sull’arte; nel ’65 in volo per New York scrive «Ideale di Hemingway: ‘grazia sotto pressione’», nel ’65 «comprare: i quaderni di Wittgenstein»; nel ’73: «Da dove deriva l’autorevolezza di uno scrittore? Da dove deriva la mia autorevolezza?».
Nottetempo ha iniziato un piano cinquennale per la pubblicazione dell’opera di Sontag; questo volume copre gli anni dal ’64 all’80, anni fertili, dove la cultura americana riceve varie scosse dai movimenti studenteschi, dalle proteste per la guerra in Vietnam – dove Sontag si reca, parte di una delegazione di attivisti, e scrive: «Il Vietnam mi è sembrato più reale quando l’ho visto in un film». Negli anni ’70 pubblica sulla New York Review of Books i saggi che verranno raccolti in Sulla fotografia. Emergono, tra un’ansia e l’altra, le sue passioni. “26/3/80: Barthes è morto”, e una settimana dopo: «Alla fine è diventato un vero scrittore, ma non è riuscito a liberarsi dalle sue idee».
A cura di David Rieff, traduzione di P. Dilonardo.
7. Guido Gozzano & Amelia Guglielminetti, Lettere d’amore, Quodlibet
Mentre è in spiaggia il poeta tiene la foto della poetessa tra le pagine di un libro – la sensitiva di Shelley – «nessun posto è più degno, per tale lettura, di questa spiaggia dirupata e dantesca». Gozzano è in Liguria, per curarsi dai suoi problemi polmonari che lo uccideranno a 32 anni. Ha avuto una relazione con Amelia Guglielminetti, e poi sono rimasti amici. Si scrivono segreti e confidenze, consigli, commenti sui lavori reciproci, verità, gossip. Le lettere finiscono con «teneramente» o «ricordatemi come io vi ricordo» o «mille affettuosi ossequi».
«Chi sa quanti bei versi vi suggerirà il mare, quanti sogni di dolcezza e di tristezza trarrete dalla vostra sensibilità fatta più sottile e più squisita dal vostro male!», scrive lei da Torino. E lui: «Mi sono alzato tardi quest’oggi […] e ho fatto, prima di sedermi al tavolino, una toilette accuratissima, quasi che, scrivendoti, tu possa vedermi la piega dei capelli o la lucentezza delle unghie. E invece quanto mi sei lontana!».
8. Evelyne Bloch-Dano, Le case dei miei scrittori, add editore
«Talvolta, nella casa diventata museo lo scrittore non c’è più. Contempliamo il luogo di una cerimonia scomparsa». Èvelyne Bloch-Dano ha visitato oltre centocinquanta case di scrittori, fermandosi in ascolto nelle stanze quando il custode e gli altri visitatori erano usciti. È partito tutto da Proust, da quando Illiers non si chiamava ancora (ufficialmente) Combray, dopo aver letto in vacanza la Recherche. Questi viaggi costruiscono un atlante, ma anche un catalogo di oggetti toccati, usati, comprati da scrittori e scrittrici: tappeti, scrivanie, bastoni da passeggio, letti, pianoforti.
Casa Malaparte a Capri è «la proiezione in muratura di un ego per cui la sfida fu una legge di equilibrio”, quella di Cocteau è un luogo “fiabesco”: “conchiglie giganti, un unicorno, un airone filiforme, una testa di camoscio, un gallo impagliato, candelieri retti da zampe di uccello compongono un bestiario favoloso”.
Traduzione di S. Prencipe e M. Volante.
9. Guido Vitiello, Visita al Bates Motel, Adelphi
«Agli occhi di Truffaut, Hitchcock era le plus gros menteur du monde, e la ragione, anche di questo, era essenzialmente teologica: “ha studiato dai gesuiti”».
Voglia di rivedere Psycho, prima, durante e dopo la lettura di questa dotta guida dell’hotel dove finisce per caso, stanca e con una bustona piena di contanti, Janet Leigh. Un museo personale del richiamo e dell’indizio (se avessimo saputo leggere i quadri appesi, come fa Vitiello, avremmo potuto anticipare il finale del film? – finale che Hitchcock aveva tenuto segretissimo, lui, fissato con l’effetto sorpresa), un tripudio di quelle che oggi potrebbero chiamarsi easter eggs. Analisi erudite e aneddotica curiosa, ci fanno partire dagli uccellini impagliati della Wunderkammer di Norman Bates, per farci arrivare ad Eleusi, passando per Guercino, Flaubert e l’amor cortese. Lavoro meticoloso di fermo immagini per bloccare quadri che sullo schermo appaiono per un solo istante, statuine che aleggiano durante la lunga conversazione a casa dello sceriffo ma che noi non avevamo mai notato, «il tracciato mitologico che queste opere compongono rivela l’intima necessità di una costellazione».
Nato in Liguria nel 1989, ha vissuto a Parigi e negli Stati Uniti. Vive a Roma, scrive e traduce.