(M) Am + Th + O + Ni + He + Th + Ta →
(M) AmThONiHeThTa
(americio, torio, ossigeno, nichel, elio, tantalio)
Il decadimento radioattivo delle nostre ragioni
«È più complicato di così, tesoro. Per quanto complicato tu ritenga che sia, tutto è sempre ancora più complicato. Non ci sono scorciatoie. Non per quanto riguarda la comprensione e non per quanto riguarda la conoscenza. Non puoi mettere tutto sullo stesso piano. Ascolta, persino un sasso non equivale a nessun altro sasso, quindi non so come pensiate tutti di cavarvela etichettando gli umani con delle semplici parole e credendo di sapere tutto ciò che vi serve»
Naomi Alderman, Ragazze elettriche, Nottetempo, 2016
Discutiamo spesso, praticamente tutti i giorni, quasi ogni ora. Ci piovono urla dalla bocca, recriminazioni, parole piccole e grosse. Ci accusiamo, non riusciamo a capirci e non troviamo pace. Se ci fermiamo a guardare tutte le macerie che abbiamo intorno ci chiediamo come sia possibile questo costante scenario di distruzione. Perché quel palazzo non ha tenuto? Quando è esplosa quella tubatura? Da dove diavolo è iniziato questo incendio che ci sta facendo bruciare la maglietta?
«È colpa nostra», ci diciamo. E allora proviamo a spiegare, a spiegarci, a dire come siamo fatti, a descrivere i nostri pensieri; ma sempre, mentre parliamo, un’altra superficie scricchiola, un vetro si sana, viene giù una finestra e un rovescio di schegge e incomprensione ci esplode in faccia.
È così che capiamo che dobbiamo arrenderci, che di fronte al mondo non possiamo essere altro che noi: noi dentro di noi, noi dentro gli altri, noi che guardiamo gli altri soli con se stessi o gli altri tutti insieme, noi che mostriamo i denti, noi che ci disperiamo, noi che ci ritroviamo con le voci degli altri infilate nella testa.
Quando ci chiediamo dove si sono nascoste le incognite e come potremo mai risolverci se non capiamo il valore intrinseco dei coefficienti che ci sovrappongono, che creano una miscela statistica di fasi che sembra avere soluzioni infinite, dovremmo imparare a pensare che il senso è tutto lì e che è algebrico. In matematica, infatti, quando possono coesistere molte verità, vuol dire che si è di fronte a una di quelle equazioni per cui 0x=0, equazioni che sembrano insoddisfacenti perché sono indeterminate ma che, invece, proprio per questo, vengono chiamate identità. Identità come le nostre: instabili, che decadono e si trasformano. Identità per cui crescere vuol dire provarsi, entrare in contatto, collidere, cercare di ionizzarsi.
Deluderti, l’ultimo disco di Maria Antonietta, racconta questo: narra la quotidiana lotta che ingaggiamo con noi stessi, con la nostra forma e i nostri desideri, con l’unicità che rappresentiamo spesso a nostro discapito e con la complessità che, nonostante tutto, rimane il merito più grande che abbiamo.
Una complessità che, per me, sta tutta in quella (M) dentro la quale sono stata costretta a condensare l’inizio della formula per scrivere quest’artista: una M che, in chimica, rappresenta la concentrazione di una specie in una soluzione, di una quantità dentro a un volume, delle moli di noi in questi infiniti litri di mondo in tempesta in cui, probabilmente sì, sarebbe molto facile esistere in una forma semplice. E invece niente.
Se io potessi essere migliore: l’americio e il torio
[Simbolo degli elementi: Am e Th / Numero atomico: 95 e 90 / Serie: attinidi]
Letizia Cesarini, in arte Maria Antonietta, è sulla scena musicale da più di un decennio. Dopo gli Young Wrists e l’incontro con Bob Corn, ha iniziato il suo percorso da solista nel 2010 con un primo disco in inglese. Tra il punk e l’agiografia, ci ha messo una laurea in Storia dell’arte, la poesia, il teatro, le collaborazioni, l’incontro con Dario Brunori, quello con Giovanni Imparato e i Chewingum, quello con i Tre Allegri Ragazzi Morti e poi un totale di tre dischi che ritagliano i contorni di una visione del mondo che ha bisogno di uno spazio a sé.
Come l’americio, il torio e tutti gli altri attinidi, infatti, le canzoni di Maria Antonietta si sono dovute ricavare un luogo proprio, lontano dal resto della tavola periodica: una fila di elementi rari, piroforici e fortemente radioattivi che raccontano un immaginario peculiare, nucleico, che non cerca le proprie verità, ma le istanze relative al creato, al rapporto con la fede, alla quotidianità dell’esistenza e all’esistenza nella sua eternità.
Nel Libro dei Fulmini, uscito l’anno scorso per Atlantide, Matteo Trevisani scrive: «Continuiamo a fare funerali, a dire preghiere di cui nemmeno conosciamo il significato per sotterrare tutto quello che viene dal cielo, tutto quello che non riusciamo a capire». Maria Antonietta no. Maria Antonietta indaga, ricerca, strappa, misura e incolla, se ne frega dell’emivita degli isotopi, sia dei suoi che di quelli degli altri, e, alla fine, riesce sempre a mostrarci un legame tra il nostro corpo e ogni parte di noi non intatta.
E da lì, da quel punto lontano: l’ossigeno
[Simbolo dell’elemento: O/ Numero atomico: 8 / Serie: non metalli]
Come cambiano le convinzioni, come cambiano i sistemi. Agli amici, ai diversivi, ai dischi tristi, ai locali punk. Che il mondo ti mette al rogo in ogni caso. È la mia testa che non fa i compromessi con la realtà. Molte cose durano per sempre anche se non vuoi. Di tutto questo schifo, della mia giovinezza. Ma la verità non ti tiene compagnia. Your young blood. A quanto mi sentivo sola, a quanto lo sono ancora. E se Cristo è così buono anche io avrò pietà. Nella purezza come ho fatto sempre, dici bene. Vorrei essere come Santa Caterina. Com’è che noi due non rimaniamo intatti. Dovrei arrendermi e dormire la notte come fanno tutti. Se ci penso troppo forte penso che potrei morire. Il mio nome è Maria Maddalena. Come fanno tutti gli animali e gli uomini intelligenti. Ti prometto che molto presto scomparirai. Le interurbane, le sue lenzuola, l’estate del ’93, il parco delle Buttes-Chaumont. Sylvia Plath. E parli di amore come se fosse un insieme di parole. Saldamelo tu il conto con il resto del mondo. Questa è la mia guerra, questa qui la mia bandiera.
In un universo che è un sistema aperto: il nichel
[Simbolo dell’elemento: Ni/ Numero atomico: 28 / Serie: metalli di transizione]
La delusione come strumento per misurare la profondità delle buche che non ci hanno ospitato, delle aspettative che non ci hanno imbrigliato nei legacci della loro purezza e dei rapporti che non sono riusciti a spegnere i nostri desideri è l’idea che rende l’anima di Deluderti un territorio di salvezza contro la banalità.
Il disco scardina il manicheismo proprio della dittatura di certe verità spingendo chi lo ascolta a domandarsi qual è il centro intorno al quale muove i propri passi e quale invece vorrebbe che fosse la propria immagine se specchiarsi avesse a che fare con la libertà.
Dice Paolo Silvestroni in Fondamenti di chimica che «tutti i minerali di nichel contengono impurezze di altri metalli (…) e la parte più significativa della preparazione del nichel è l’eliminazione di questi».
«(…) Ci saranno giornate come da risalire,
senza pensare di cogliere nel segno,
senza pensare di tornare nel sogno,
e senza ricordi da ricordare.
*
Ci sarà la discesa della sabbia al mare
e nella sabbia il rotolare dei pensieri.
Ci sarà da imitare la pioggia
o qualche cosa di disperso
in un cielo stupendo e lontano da qui.
*
Ci saranno occasioni di ritornare al mare»
(Stefano dal Bianco, Ritorno a Planaval, Mondadori, 2001)
Tra me e tutte le cose: l’elio
[Simbolo dell’elemento: He/ Numero atomico: 2 / Serie: gas nobili]
Nel decadimento alfa, il radionuclide che si trasforma emette una radiazione che altro non è che un isotopo dell’elio, il più famoso dei gas nobili. Nel decadimento delle nostre costruzioni, il pezzo di noi che si trasforma emette una radiazione che altro non è che un isotopo del coraggio, il più famoso dei pensieri nobili.
Quando finirete di esistere, niente mi confonderà. Ben altre, sempre altre le mie aspettative. La faccia di chi mi disprezza, di chi mi ha spezzata senza fatica. Mentre con Dio io mi ci trovo bene. Parlavo troppo svelto, pensavo troppo svelto. La morte, l’ingiustizia, la decomposizione. Perfetta subito o imperfetta per l’eternità. Ma quanto vedono bene i miei occhi. E non riesco a restare indifferente. Sarà questo il prezzo dell’adattamento? Gli altri, sì, sono gli altri, inarrivabili. Come facevi quando avevi meno armi e più stomaco. Tutte le cose tristi che mi dite mi fanno essere peggiore. Quella la disegnano gli stronzi come te. Che ogni cosa sembra essere al suo posto. Da qui voglio dare fuoco alla tua cattedrale. Perché chi mangia dolore mangia sempre solo in questa vita.
Non mi voglio più giustificare: il tantalio
[Simbolo dell’elemento: Ta/ Numero atomico: 73 / Serie: metalli di transizione]
« – Io sono una protesta vivente contro ciò che si pensa di me, – contro tutto ciò che ne se può pensare/contro tutto ciò che ne penso io/, e me stesso! E tutti gli uomini sono come me», scrive Paul Valéry nei suoi Cahiers e io ci penso tutte le volte che dico a qualcuno che non ha capito niente di come sono fatta o che qualcuno lo dice a me; ci penso tutte le volte che sono io stessa ad avere difficoltà a comprendermi.
Mi immagino di essere tantalio e allora mi arrabbio, mi affanno, mi impegno per cercare un modo di definire meglio la mia diversità, di spiegare agli altri che sono un elemento diverso dal niobio e che nessuno di noi due è columbio, nessuno di loro lo è, eppure lo so che non capiranno, lo so che gli scienziati ci metteranno decenni prima di riuscire a distinguerci, darci un nome e farci esistere nelle loro categorie.
E allora, che cos’è questa guerra, se ogni proposito è frainteso? Stiamo davvero combattendo per qualcosa? Possiamo in qualche modo evitare la nostra delusione o quella degli altri, estirparla, renderla polvere, negarla? È possibile vincere questa battaglia di affermazione di ciò che pensiamo, vogliamo o ci sforziamo di essere?
La risposta a queste domande, ovviamente, è molto complessa.
Nel romanzo distopico Ragazze elettriche, Naomi Alderman rende fisicamente visibile questa complessità immaginando una «matassa» posizionata in mezzo alle clavicole delle donne, un intrico, una centralina, che gli permette di far uscire elettricità dalle proprie mani, in modo da renderle capaci di uccidere, di poter lottare, di rovesciare il mondo. «La forma del potere è sempre la stessa», scrive Alderman «è infinita, è complessa, non smette di ramificarsi. È viva come un albero, e cresce; contiene se stessa, ed è una moltitudine».
Il libro ci fa grondare di stupore ma anche di delusione, perché è proprio di questo che siamo composti e Maria Antonietta lo sa.
Lei, con questo disco, è riuscita a mostrare che ognuna di quelle serrature rotte, ogni calcinaccio, tutta questa cenere, i litigi, le parole dette che (forse) non si dovevano dire, il crollo dei ponti d’oro e quella distruzione che, certe mattine, quando ce la guardiamo intorno, non ci fa respirare sono le macerie necessarie alla trasmutazione delle nostre ragioni, a quella serie di processi fisico-nucleari incomprensibili che ci aiutano a trovare una stabilità nelle nostre indeterminazioni, una finestra, sana o spaccata, attraverso la quale mostrare la nostra identità, in tutte le sue sfaccettature. Affinché possiamo deludere gli altri e noi stessi talmente tanto da riuscire a esistere.
Elisa Casseri è nata a Latina nel 1984 ed è laureata in Ingegneria Meccanica. Autrice del blog "Memorie di una bevitrice di Estathè", ha pubblicato il suo romanzo d’esordio "Teoria idraulica delle famiglie" per Elliot nel 2014. Nel 2015, ha vinto la 53° edizione del Premio Riccione per il Teatro con il testo "L’orizzonte degli eventi". Il suo ultimo libro è "La botanica delle bugie" (Fandango, 2019).