Se avessi conosciuto Colette Rosselli probabilmente l’avrei odiata. Esattamente come si fa con le persone che si invidiano – in un modo violento, inconscio e inammissibile – perché sappiamo che non saremo mai come loro.
Colette sapeva disegnare, era molto colta, aveva soltanto amici celebri e artisti. Come se non bastasse era alta e magra, elegantissima; si dice persino che avesse sangue reale inglese nelle vene; si dice anche che fosse impossibile non notarla, e non rimanere ammaliati da quel mélange de charme che la caratterizzava e che fece innamorare di lei Indro Montanelli. Lui la sposò in terze nozze e dopo quasi vent’anni di amore silenzioso (leggi: parentesi da amanti). Anche per lei, però, si trattava di un bis: nel 1940 aveva divorziato da Raffaello Rosselli, cugino degli sfortunati antifascisti Carlo e Nello. Erano tempi in cui la convivenza era cosa vergognosa, ma Colette Rosselli non temette d’essere considerata eretica e di impartire (a me) la prima lezione: alcune amanti riescono a diventare mogli.
“Non è un gossip – scherza Lorenza Trucchi, 90 anni, capelli ordinatissimi, smalto rosso e rossetto dello stesso color fuoco, mentre sprofondiamo sul suo divano di broccato a meno di cinquanta metri da Piazza del Popolo –, ma si racconta che lui fosse gelosissimo. Un giorno chiamai Colette per confermare un appuntamento e lei mi disse: non posso, sono a casa che rileggo le lettere di Indro perché devo strappare quelle più accese. Mi venne da ridere, ma Indro era così”.
E Colette, com’era Colette? Lorenza Trucchi sorride, e poi riprende con quel lunghissimo elenco di aggettivi positivi che soltanto una vera amica può sciorinare senza vergogna: “La vidi la prima volta a Cortina. Nella hall dell’albergo entrò una donna bellissima, con una mantellina rossa, che teneva per mano due bambine, una delle quali stringeva la mano anche a una nanny. Chiesi chi fosse, mi risposero che era una pittrice”. E una pittrice, per di più molto brava, Colette Rosselli lo era per davvero: aveva iniziato con i libri per bambini, illustrando anche quel capolavoro comico che è Il diario della Signorina Snob a firma di Franca Valeri, quindi aveva esposto i suoi quadri in una galleria, e dopo qualche mostra erano seguite una, due, tre personali. Eppure l’apice della carriera non lo raggiunse con la sua passione, ma con ciò che considerava una cosa da nulla (traduciamo per i non addetti ai lavori: anche le minchiate possono cambiare una vita).
Diventò un nome della cultura popolare italiana battezzata come Donna Letizia, e insegnò agli italiani – gli stessi, cafonissimi, che prendevano lezione da Irene Brin – come vivere. Lo fece per oltre vent’anni su Gente, come sintetizza bene il coccodrillo che Laura Laurenzi scrisse su Repubblica il giorno dopo la morte di Colette: “Erano gli anni Cinquanta, quelli del boom, dell’improvviso benessere, quando si passò bruscamente dal colletto di lapin alla mantellina di visone, come amava ripetere lei, dal filobus all’ utilitaria, dal tinello finto-provenzale al salotto finto-inglese, dal Ferragosto in pensioncina alla crociera mediterranea, e nuovi dilemmi attanagliavano i ceti emergenti. Non semplici quesiti di etichetta ma modelli di comportamento, scelte di eleganza d’animo, codici dello stare insieme civilmente, con rispetto reciproco. Come apparecchiare il tè, come rivolgersi a un arcivescovo o a un principe ereditario, come utilizzare le forchette da ostriche, ma anche come lenire la solitudine, come capire e come crescere i propri figli, come non fare scorrettezze e offese gratuite”. Catalogò tutte queste buone maniere nel Saper Vivere, che fu un long seller e ancora oggi non smette di essere pubblicato e venduto (anche se con una volgarissima copertina verde e arancione fosforescente). Seguì anche Cara Donna Letizia… venticinque anni in confidenza (pubblicato da Rusconi) che racchiudeva epistole e risposte edite sul popolare settimanale. Un esempio: “Cosa ne pensa di un marito che propone alla moglie di invitare nel letto coniugale un’amica da poco abbandonata dal fidanzato, sostenendo che con questa iniziativa ognuno darebbe il meglio di sé: prova di amicizia da parte della moglie, larghezza di vedute da parte del marito, gratitudine da parte dell’amica…”. La risposta, molto british:“Presto un fazzoletto. Tante eccelse virtù commuovono”.
Eppure l’Italia, o meglio Gente, non esitò a voltarle le spalle. Da un giorno all’altro la pagina di Donna Letizia fu soppressa e il suo spazio dato a quel fenomeno mediatico che con una sineddoche potremmo battezzare come caschetto biondo. Ed ecco l’ennesima lezione: non in tutti i casi, e non sempre, l’educazione è un vantaggio. Che sia necessario guardarsi sempre le spalle già lo abbiamo imparato tutti, ma proprio tutti, da Cesare. Eppure a distanza di anni lo charme di Colette ha trionfato: lei viene ricordata per essere maestra d’eleganza, Raffaella Carrà è diventata un’icona gay e indossa guanti di pelle su Rai2.
Nel 1984, e senza pensarci due volte, Colette uccise Donna Letizia. Cancellò la rubrica, e ammise “un’epoca è finita”. Anche se era stata quello pseudonimo (non solo, ma anche) per vent’anni, ci mise meno di un giorno a lasciarsi tutto alle spalle e a ricominciare. Della serie: è inutile piangere sul latte versato. O, semplicemente, cercare di resuscitare qualcosa che i tempi hanno ormai fatto diventare antico.
Ritornò a dipingere, e in questo periodo si registrano i suoi quadri più belli e misteriosi. Scrisse e illustrò splendidamente Il cavalier Dodipetto, uscito per Mondadori nel 1993. Visse nel silenzio come difficilmente accade a chi è stato celebre per qualcosa: mai un pettegolezzo, pochissime interviste, nessun immagine o fotogramma in cui compare con una ciocca fuori posto, dicendo qualcosa fuori luogo. Ed è così – bellissima, vecchia con un amabile acconciatura grigio perla, in una giacca dorata – che si mostra in una delle ultime interviste rilasciate a RaiUno, prima della morte avvenuta per ictus nel 1994 a Losanna. Splendida, raccontava di un viaggio negli anni Trenta in India: “Non c’era niente, ma fu bellissimo”. A riprova, e a monito, che non tutto quello che può far star bene deve per forza contenere qualcosa.
I precedenti articoli di Flavia Piccinni dedicati alle scrittrici dimenticate sono qui e qui.
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).