Ci sono degli autori per i quali le parole non sono mai abbastanza. Recensirli è impossibile, insufficiente. Conversazioni Su Tiresia di Andrea Camilleri ne è un esempio lampante.
L’11 giugno 2018 mi trovavo tra le pietre conosciute, nell’antica Siracusa ad ascoltare quelle parole che con Sellerio sono diventate un libro. Ho anche letto il testo così tante volte che potrei citare a memoria ogni parte. Eppure non basta, eppure le parole continuano a non essere abbastanza. È impossibile raccontare i pensieri che si cumulano dopo la sua lettura, le parole che escono sono filtrate, prima di prendere forma orale si confrontano e confondono nella testa.
Respiro e vado per tentativi, ci provo: Conversazioni su Tiresia di Andrea Camilleri.
Scrivo questo nome famoso con il timore che mi accompagna da quando non c’è più e tiro un sospiro che non trova l’ossigeno di cui avrebbe bisogno.
Tra le pagine dell’opera intensa, Il Maestro studia la figura di Tiresia. La scelta non è casuale, il tebano Tiresia era cieco come l’autore che riusciva a vedere oltre meglio di chiunque altro.
«Chiamatemi Tiresia. Per dirla alla maniera dello scrittore Melville, quello di Moby Dick. Oppure Tiresia sono, per dirla alla maniera di qualcun altro». È così che esordisce…ed applausi!
In questo testo l’autore cede la parola a Tiresia che ci racconta le sue sette vite, la disgrazia del poter predire il futuro, la sua storia nel tempo della scrittura/letteratura. Ci rivela quello che tanti autori famosi hanno tramandato. Un viaggio meraviglioso ed ironico in cui i personaggi sembrano Umani e Reali.
Racconta le parole di Omero che l’hanno visto “consigliere” di Ulisse, quelle di Orazio, di Giovenale che lo credeva anche sordo. E poi Seneca ed il suo Tiresia in stile commissario Montalbano.
Ci racconta che le cose si complicano quando l’Olimpo scompare ed una gran croce ne prende il posto. Scherza per il modo in cui gli intellettuali del nuovo tempo cercano di travisare la figura dell’indovino cieco, Dante è uno dei tanti.
Poi il momento di svolta, il magico ed improvviso instante in cui cita Borges ed il silenzio risuona con migliaia di cuori impazziti d’amore.
Con la rapidità di un giovane e la bravura di un intellettuale come pochi continua a raccontare di T.S. Eliot, Ezra Pound, Pasolini, Primo Levi. Lo scrittore che è scampato, grazie alla poesia, alla metamorfosi più difficile quella da Uomo a non Uomo.
In questa seconda parte del testo, cominciano a confondersi sempre di più, Tiresia, Camilleri, personaggi e autobiografia. Un mix confuso e divertente. Camilleri scherza con la Tradizione ma non la sminuisce. La desacralizza con delicatezza, gioca con il confine persona e personaggio con una maestria che è concessa a pochi e ci tiene con occhi incollati e le pagine brevi si susseguono curiose. Impossibile imitarlo, impossibile capire come ci riesce. Pagina dopo pagina le mani sfogliano voraci, desiderose di conoscere.
All’improvviso la fine.
L’incanto è finito, la magia si spegne, gli occhi si riempiono di lacrime. Se la vita fosse un sogno, è così che dovrebbe essere, cullata dalle parole e dalla scrittura del Maestro.
«Da quando Zeus o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi la vista, questa volta a novant’anni, ho sentito l’urgenza di riuscire a capire cosa sia l’eternità e solo venendo qui posso intuirla, solo su queste pietre eterne
Ora devo andare».
Lo scrittore alla fine del testo ci saluta con la sua solita geniale ironia. Ci augura, con l’eternità che il teatro di Siracusa permette di intuire, di rincontrarci tra 100 anni ed anche di più. E noi siamo certi che sarà così, tra le sue parole così speciali ci ritroveremo ancora nel nostro per sempre terreno.
Compratelo, è un opuscolo che sembra il gioiello più prezioso, una stella luminosa quando le notti saranno troppo buie.
Ci manchi Maestro, avremo sempre bisogno di te.
Federica Massaro è una bookstagrammer. Su Instagram la trovate come maisondul.