Per Vittorio Sereni (1913-1983). L’opzione

da | Ago 20, 2013

In conclusione del nostro omaggio estivo a Vittorio Sereni proponiamo l’ultima parte dell’ “Opzione”, il racconto su un viaggio di Sereni a Francoforte negli anni Sessanta in veste di dirigente letterario per la Fiera del libro. “L’Opzione” è una delle prose più liberamente narrative di Sereni.

[…] io mi fermo qui dopo che tutti se ne sono andati e invece di questo gran sole c’è nebbia sulla Zeil come qualche sera fa e l’aria è pungente del primo freddo, ma in alto, molto più in alto della nebbia la fosforescenza d’un quadrante illuminato, prismi, triangoli, cerchi di luce proiettati dal basso simulano un grande luna-park, una cattedrale, un gigantesco albero natalizio nella dimensione del nord e dell’inverno e allora ci sarà un incontro del tutto imprevisto, tutto entrerà in una congiuntura nuova e abbagliante, intendendo per “tutto” quello che sai, i mozziconi e le braci di quello che sai, che in sé non è niente o è appena un freddo disordine di cose indifferenti e slegate, prenderebbe un segno diverso e forse stimolante, oh non per tanto… perché, vedi, gli affetti non c’entrano con queste cose, che cosa sono in fondo gli affetti se non il ricordo più o meno tenace, che ti sforzi di conservare, di quelli che sono stati gentili con te e con cui hai cercato di essere gentile, ormai non si vive più di questo, no davvero, si vive combinando e scombinando congiunture, situazioni, a seconda dell’energia di cui disponi in questo o in quel momento, non lo dico con amarezza, cerco di descrivere una nuova condizione biologica, per così dire…

Ma prima di arrivare all’aeroporto voglio dirti ancora un’immaginazione, o meglio un’ipotesi che ho fatto a conclusione di questa settimana. Ecco, nessuno è riuscito a mettere le mani sul libro, sull’opera, sul progetto di opera di cui alcuni per eliminazione e approssimazione erano riusciti a stabilire l’esistenza e altri, per intuizione, le qualità. […] Tutto questo non è accaduto senza creare un po’ di confusione e di sconcerto in quelli, più grossolani e più… pratici, più… concreti, che materializzando un possibile affare, la traccia abbastanza chimerica dei primi hanno finito col complicare il gioco normale delle contrattazioni falsando del tutto l’andamento della Fiera. […] Ma il bello viene adesso: il libro c’è, non importa dove, ce lo siamo lasciato alle spalle, in qualche stand che ora stanno smontando, dimenticato nel cassetto di qualche scrivania, sul tavolo di qualche salotto negli alberghi che sventolano allegramente i loro tendaggi dalle finestre spalancate sulle camere dove i termosifoni bollono intensamente nella splendida giornata di sole. Il libro c’è, completo dalla prima all’ultima pagina, con scritto per intero quello che realmente accadrà nei prossimi dieci anni. Oppure, nella stessa città o in un’altra non troppo distante, in questa stessa ora, in questo minuto, qualcuno a nostra totale insaputa, qualcuno già in tensione da giorni, o da anni, irradiandoci in segreto senza volerlo – attirandoci nel suo campo di forze, a quest’ora qualcuno…

Un drappello di foglie ruzzolò lungo la Freidrichstrasse, s’ingrossò di altri drappelli congeneri, turbinò un attimo all’incrocio, svoltò al primo angolo. A quell’ora il vecchio Cancelliere si disponeva a cedere il posto al Cancelliere subentrante mentre un ciclista inveiva contro un pedone distratto, probabilmente forestiero, che si attardava naso all’aria sulla corsia riservata ai velocipedi. Il primo apparecchio dell’operazione Big Lift o Grande Passaggio era infatti comparso nel cielo della città proprio nel momento in cui il normale Caravelle di linea decollava dall’aeroporto.
– Mah! cominciò pensosamente uno dei viaggiatori dentro quell’amalgama di rombo, cherosene, sibili e altri suoni minori, sole.

Lo scrittore si fermò un istante. Ah, se avesse avuto un punteruolo speciale, e in più un aggeggio da saldatura autogena. Tutto teso com’era a formare piuttosto che a esprimere o rappresentare, ossessionato com’era dalla circolarità e simultaneità dei gesti, grossi e piccoli, dell’esistenza, doveva evitare quei ripensamenti, quelle sospensioni, quei rigiri emotivi, quelle intrusioni che, più svelti della penna o del typewriting, fanno deposito istantaneo producendo la collosità dell’attimo e le muffe del presente – il quale, come si sa universalmente ormai, nel momento in cui lo avverti e lo nomini è già passato. E tanto più ai tempi nostri, tanto più. Ah, il passato prossimo, il gran nemico, ben più che il remoto. Bandita d’altra parte ogni presunzione anticipatrice, ogni velleità congetturante il futuro, bisognava concentrarsi in una tensione concorrenziale e collaborativa insieme nei riguardi del tempo che manipola la realtà e dei suoi modi di manipolarla… Tornò al suo lavoro cercando di evitare anche il respiro di sollievo che gli veniva dall’idea della città finalmente vuota, almeno dei troppi seccatori, per lui, che la Fiera aveva portato. Per lui il conto alla rovescia si chiudeva appunto in quella mattina, nel momento in cui il primo aereo dell’operazione Big Lift spuntava all’orizzonte. A partire da quello doveva seguire una serie vertiginosa di spaccati dell’esistenza, un minuto l’uno e non più, visto che un istante è davvero troppo poco. Peccato, c’era tutto quel sole a distrarlo, non sapeva che già dalla prime ore del pomeriggio si sarebbe trasformato in nebbione, era autunno ormai. Ora lo strumento aveva assunto un battito regolare, e così continuò per ore, per giorni… Ma succede anche con le macchine, con i motori: viene un momento in cui la loro stessa regolarità suggerisce la loro precarietà, avviene così quando ci si affeziona a una macchina: di commuoversi sentendone l’ansito, e dentro questo il suo essere trabiccolo – e si sta in pena per lei, come per un infante malato che lotta, il respiro in affanno, contro il male, troppo più forte di lui. Batte il suo ritmo, allegra, sembra che tutto proceda bene, e poi di colpo ne hai pena, la senti caffettiera stenta, trabiccolo arrancante. Ah se bastasse la saldatura di un attimo all’altro, non basta, se devi formare, non basta evitare muffe e  collosità, occorre che l’attimo seguente nasca da te, non da quello in cui sei seduto… O almeno, scrivere non basta, lo strumento di cui disponi non è niente se non ha qualche parte, e tu stesso con lui, nella figura dell’attimo successivo… Il ritmo era ormai un rantolo, e neve, bufera sulla Zeil. Cecidere manus.

Caporedattrice Poesia

Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite ("XII Quaderno italiano di poesia contemporanea", Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).