LORD PUTRIDUS
Sono un animale da combattimento,
un animale notturno da combattimento. Vivo in me,
ovunque mi trovi, seppure non sia io. Muoio
in me, ovunque io giunga, seppure non
sia io. Io non combatto più me stesso: io
combatto “lei”, che da lontano, è presente,
da vicino, è assente. Grazia, no, ma potere
la natura mi ha dato nel passaggio apparente,
che è transito da “me” a ME, il signore
del me, il me oltre l’io.
Introduzione di Eleonora Pinzuti
Che cos’è il ‘genere’? È davvero una iscrizione nel corpo che lo determina e lo destina ad un ruolo preciso e definito nella mondo? O è solo il frutto di un ordine del discorso che ha prodotto un paradigma nel quale i soggett* sono stati inevitabilmente costretti?
A lungo il genere è stato epistemologicamente sovrapposto al sesso biologico e all’orientamento sessuale, come se vi fosse una necessaria e imprescindibile equazione fra l’essere biologicamente maschi e l’essere ‘maschili’ o fra l’essere un soggetto sessuato al femminile e il concetto così trascendente della ‘femminilità’ (quando non dell’imprescindibile femminino). Su questa equazione si è innestato l’orientamento sessuale che imponeva (in certe situazioni ancora impone) nel maschio – maschile una obbligatoria attrazione per il femminile e viceversa. Ciò che non rientra in questa costruzione triadica è stato a lungo tacciato, inevitabilmente, di inversione del rapporto sesso-genere: cioè, con un sintagma , di contro natura.
Eppure è nell’apertura di questi termini, nella decostruzione aggettivale del ‘femminile’ (si pensi ai lavori di Butler o de Lauretis) e del cosiddetto ‘maschile’ (Halberstam su tutt*, ma non solo) che si muove la libertà di costruzione del sé al di là dei dettami preordinati: una maschilità non maschile e una femminilità non femminile dimostrano l’ avvenuta frattura fra sesso biologico e ruolo di genere, offrendo ai soggett* spazi non stereotipici di azione, consapevolezza, libertà.
Se il genere è dunque performance, un a priori senza modello, questo lavoro di Orlando e Giovanna Frene declinato in parola e figura, corpo e materia verbale, offre uno strumento prezioso per leggere nello spazio aperto del sé, del maschile-femminile come modelli in de-costruzione verso soggettività libere e in-versamente consapevoli.
Presentazione
Si deve essere femminili solo perché nate donne? Si può desiderare di essere maschili senza essere nati uomo? Ispirato dal libro di Judith “Jack” Halberstam Female Masculinity, il progetto MASCHILITA’ XX vuole parlare di una “mascolinità senza uomo” e proporre una visione del maschile libera, dissociata cioè dal cromosoma XY.
Agli autori piace il maschile XX, quello reinterpretato e vissuto dalle donne (tali almeno geneticamente), nelle forme più diverse: da quello teatrale delle Drag King a quello incarnato dei trans (Female-to-Male), da quello delle lesbiche mascoline (butch) a quello più giocoso e saltuario delle travestite.
Siamo convinte che il genere sia soprattutto un “habitus”, nel senso così mirabilmente espresso da Virginia Woolf in “Orlando”: “Per quanto sembrino cose di secondaria importanza, la missione degli abiti non è soltanto quella di tenerci caldo. Essi cambiano l’aspetto del mondo ai nostri occhi, e cambiano noi agli occhi del mondo. […] Così si potrebbe sostenere con qualche ragione che sono gli abiti che portano noi e non noi che portiamo gli abiti; noi possiamo far sì che essi modellino per bene un braccio, o il petto, ma essi modellano il nostro cuore, i nostri cervelli, le nostre lingue a piacer loro”. In quanto l’abito incorpora visioni del mondo e valori, determinando comportamenti, atteggiamenti, linguaggi, esso diventa un elemento cruciale per rappresentare e significare il maschile.
Il progetto si compone di una serie di ritratti fotografici, in forma di dittico, ciascuno accompagnato da un componimento poetico. Ogni dittico rappresenta la stessa persona in due versioni: una “neutra”, vestita in jeans e t-shirt bianca, e una maschile, con gli abiti e nella posa in cui sente di esprimere tutta la propria “maschilità”. Le poesie e i testi in prosa poetica – nati da un dialogo diretto con i soggetti fotografati – fungono da brevi narrazioni inerenti al vissuto delle singole persone, in riferimento alla loro personale idea del maschile: la composizione dei testi è partita dall’ascolto della loro storia; da parole chiave emergenti dal loro discorso; dall’osservazione dei loro gesti e comportamenti, anche durante la fase di posa fotografica; dall’interpretazione, infine, degli stessi ritratti fotografici, una volta ultimati. Ne è risultato un mosaico linguistico di stili, visioni, incarnazioni e atteggiamenti che affianca le immagini fotografiche, per dare la possibilità al fruitore di sentire anche la “grana della voce” dei soggetti.
STEFANO
A tutti gli effetti, anche legalmente, sarò il santo
che desidero, sarò il nome anagrafico cambiato senza sangue,
che si travasa ben prima della ricostruzione, sarò il senza-ventre
e il senza-seno, la colonna comunicata dei miei liquidi,
il bambino ritto con il nome da femmina, che non la fa
in piedi finché non legge che l’uomo cambia l’uomo.
Anche legalmente, a tutti gli effetti, porto una barba
da fare, una camicia da sbottonare, un fumetto
western da leggere, un Mitchum della Seconda guerra
mondiale, mondi di avventura da scoprire, montagne,
e una donna da amare, finalmente, con
l’uomo che sono, che sono sempre
stato, che ho sempre
FEDERICO GABRIEL
…solo un po’ in ritardo, avvicinandomi maggiormente
alla luce, alla pace del mio essere me stesso, nella
conchiglia del mio corpo-mentale, o della
mia mente-corporale, distendo all’infinito
l’Uomo-composto-da-uomini: solo un po’ in ritardo
mi specchio in me come Narciso e transito oltre
la mia immagine, l’immagine di me, il me
che immagino e
che vedo riflesso negli specchi
Mario de Laurentiis (Napoli 1969 – Segrate 2666).