Pubblichiamo in anteprima tre lettere di Massimo Ferretti a Pier Paolo Pasolini, con risposte di quest’ultimo, dal volume da poco uscito per Giometti & Antonello curato da Massimo Raffaeli.
LETTERA N. 2
A Pier Paolo Pasolini, Roma
Jesi, 5 agosto 1955
Caro professore[1],
ho rinunciato a Schwarz[2], cioè a 60.000 lire. Delle ottantamila versate, forse ne riavrò venti: merito di una bugia «drammatica» inventata per l’occasione. Per almeno 5 anni non potrò neppure pensare di stampare un libro; ma non mi dispiace: capisco perfettamente cosa significhi esordire su una rivista come «Officina», e soprattutto cosa voglia dire essere scoperto da LEI.
Dal ’52 in poi ho letto con passione e disordine diversi libri di poesia – buoni e cattivi –; tutti mi hanno dato qualcosa ma nessuno mi ha offerto un mondo da continuare. Dunque, se la «vena» si è sporcata le ragioni sono più gravi dell’influenza esterna di brutti versi (Di Ruscio, Non possiamo abituarci a morire)[3]: ma non voglio pensarci. Sono contento del consenso dei Suoi amici, che a suo tempo ringrazierò direttamente. Se avrà occasione di scrivermi qualche altra volta La prego di darmi del «tu».
Ora sono del tutto inedito, e Lei è il mio Sole: illumini pure quello che vuole. Con i più cordiali saluti suo aff.mo
Massimo Ferretti
Lettera dattiloscritta con firma autografa
- 1. Pier Paolo Pasolini (1922-1975) poeta, narratore e regista cinematografico. Il suo carteggio con F inizia fortuitamente; questi ha inviato ad una trentina di riviste (come risulta da un elenco autografo man mano biffato, giacente nel Fondo Ferretti) fra cui «Officina», il cui primo numero è uscito nel maggio, redatta a Bologna da Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi e Francesco Leonetti. La lettera che accompagna l’invio del volume è purtroppo andata perduta: Pasolini risponde con una prima ed una seconda lettera (entrambe su carta intestata della rivista):
Caro Ferretti,
ho ricevuto a suo tempo Allergia, e mi scusi se ho tardato tanto ad «accusare ricevuta». I suoi versi mi hanno molto interessato. Probabilmente ne dirò le ragioni in una delle prossime «rassegne» su Paragone. Intanto le chiedo un piacere: mandarmi un pacchetto, possibilmente nutrito, di cose inedite. L’intestazione di questa carta da lettera può farle immaginare lo scopo. Riceva i più cordiali saluti dal suo
Pier Paolo Pasolini
Roma 27 ott. ‘55
Caro Ferretti,
scusi il lungo ritardo: ma le sue carte sono passate da Roma a Bologna e da Bologna a Roma: lette e rilette. I miei amici si sono congratulati molto con me per la mia scoperta: e sono lietissimi di pubblicare cose sue su «Officina», quali specimen dell’ultimissima produzione poetica. C’è questo, però: le sue cose dovrebbero uscire nel numero di febbraio (sa che la rivista è bimestrale), e nel frattempo sarà uscito il suo volume da Schwarz: il che ci impedisce di pubblicare alcune liriche di Allergia, praticamente inedite, e che sono le sue cose più belle (Falloforia del principe, per es.): le ultimissime rivelano un certo intorbidamento della vena rispetto alle precedenti, più libere e scatenate. C’è stata forse qualche cattiva lettura? Qualche influenza della neo-retorica giovanile tipo rivista Situazione? Continui sulla strada di Allergia, momento felice di una prematura maturità, di una originalità prepotente. Ma cosa facciamo dunque? Lei non potrebbe rinviare, con Schwarz? Badi che uscire su «Officina» significa esser presi in considerazione, da tutti i principali lettori italiani, mentre uscire da Schwarz è un handicap. Anzi, se Lei mi desse retta, dovrebbe rinunciare a quell’editore svalutato che ha pubblicato un pacco di inutili libri vanitosi e superficialmente sperimentali, tra cui il Suo si confonderebbe.
Riceva i più cari saluti dal suo
Pier Paolo Pasolini
Roma 2 dic. ‘55
Con vivi saluti,
Francesco Leonetti – Roversi
- 2. F ha appena raggiunto con l’editore Schwarz di Milano l’accordo per pubblicare un’edizione accresciuta di a. La raccolta è in seconde bozze quando giunge l’invito di Pasolini: la susseguente rinuncia è documentata da una minuta, giacente nel Fondo, datata Jesi, 10.12.1955. Dalle bozze in questione derivano i due testi inediti ora in appendice al presente volume (pp. 187-194).
- 3. Cfr. Luigi Di Ruscio, Non possiamo abituarci a morire, Milano, Schwarz, 1953.
LETTERA N. 26
A Pier Paolo Pasolini, Roma
Jesi, 1 luglio 1959
Caro Pier Paolo[1],
«Molte volte un poeta si accusa e calunnia…»
mi hanno dirottato da Perugia la tua lettera che disgraziatamente non s’è perduta per la strada. Mi scrivi di capire tutto di me: e dimostri di non capire niente.
1) Il «desiderio di morire» appartiene alla tua psicologia, alla mia è del tutto estraneo. A 16 anni quando con la bicicletta mi sono buttato sotto un’auto (e s’è rovinata solo la bicicletta) l’ho fatto per disperazione «fisica»: da due anni una nevralgia reumatica nella zona del mediastino mi tormentava giorno e notte, e solo la morfina o gli ingorghi di stanchezza mi procuravano un dormiveglia di due ore una volta al mese: questa è «realtà» non auto-tenerezza, come è «realtà» – e non auto-esaltazione – il fatto che io non sono mai stato il malatino che fa pena; ma un «che peccato!», un’«incongruenza della natura», un «atleta fallito»: ho sorbettato queste qualifiche per tutta l’adolescenza: dal più scalcinato medico di campagna, al grande clinico, al colonnello-medico della visita di leva. Se ho registrato il «sentimento della morte» l’ho fatto per celebrare la vita. Io ho sempre desiderato vivere: e più stavo male, più volevo guarire.
2) Né l’Italia né io siamo in pericolo per il mio presunto e potenziale fascismo: l’Italia – come sempre – è minacciata dalla sua sacra ed eterna Natura, io dall’Indifferenza. Se scrivo di voler diventare un reazionario nello stesso momento so di aver semplicemente bestemmiato. A 17 anni, al tempo di Allergia, (quando ero «unico», «eccezionale», «straordinario») cercavo l’«immunità»: e tu sai che questo giovanotto «sufficientemente poeta» è sempre stato sufficientemente imprudente nel mondo dominato dalla «brutalità della prudenza». E tieni presente che ciò che io ho subito come si subiscono gli irrazionali fenomeni della natura, tu hai avuto modo di vederlo e capirlo: nel ’40 tu avevi 18 anni, io 5 (cfr. La Croce Copiativa)[2].
3) Quanto al narcisismo schematizzi troppo. Io ho 24 anni. E se mi rimproveri di scrivere in prima persona (Leonetti direbbe in persona prima), mi costringi a guardarti con sospetto: «Se la nuova poesia si limita a denunciare in falsetto le ovvie miserie dei pastori e dei contadini a che cosa serve? Denunci, invece, quel proprio interno vizio conformistico…» scrivevi sul «Punto» del 25 maggio 1957 a proposito dei poeti meridionali, ma era un avvertimento che valeva per tutti.
Allora: sei diventato vecchio o non hai più niente da dirmi? Non offre altre alternative la tua lettera acida in cui hai approfittato del mio dolore per fare il moralista a buon mercato. Lo saprò quest’inverno. Per ora ti prego soltanto di sopportare la noia della mia amicizia di cui tu non sai che fartene: io ho bisogno della tua: ti ho incontrato in un’età difficile e per me sei rimasto una presenza quotidiana. Che ti costa una lettera di otto righe, una volta all’anno? In bocca al lupo e rallegramenti anticipati per i premi; spero poi che avrai superato il trauma del trasloco e che i libri e i mobili siano in perfetto ordine. E i soliti abbracci sempre molto affettuosi, tuo
Massimo Ferretti
P.S. Mio cugino ha bisogno di molto silenzio: ora che appartiene ai commenti dei paesani.
Lettera dattiloscritta con firma autografa
- 1. Risponde alla lettera seguente:
Caro Ferretti,
vorrei risponderti con una lunga lettera, ma: ho cambiato casa ieri, e il trasloco, con tutti i mobili e i libri per aria, mi travolge; poi c’è il Premio Strega, con le sue mille telefonate; poi due sceneggiature da seguire, ecc. ecc. La situazione è questa: spietata. Voglio dirti però almeno questo: che capisco tutto di te, la forte carica vitale, la smania, la furia, la protesta, la rabbia. Capisco la tua angoscia, e il tuo desiderio di morte. Sono tutte cose che ho provato, e che provo, anch’io. E capisco anche la tua difficoltà negli studi: si tratta dell’inconciliabilità di un «io puro» con le «istituzioni», di un «fare amoroso» con un «fare pratico». Ma negli studi devi spuntarla, con le tue forze: non vorrai aggiungere alle tante grane della tua vita anche quella di essere un fallito, uno spostato, un senza mestiere. Quanto al resto, probabilmente troverai un equilibrio, perché mi pare che tu sia sufficientemente poeta, il che significa, infine, equilibrato.
Quello che non capisco – e che ti minaccia – che minaccia te, la tua poesia, il tuo equilibrio – è quella voglia a essere ciò che non vuoi essere: borghese, reazionario, fascista. Guarda che sei davvero nella strada giusta per diventare ciò che non vuoi: e, se lo diventi, lo sarai ferocemente. In questo caso io – e le persone che abbiano un vero amore per la vita altrui – ti odierei come si odia un aguzzino di Hitler. Evidentemente la scontentezza per la vita crea in te un desiderio di non avere vita: quindi di umiliarti, di autopunirti. Ma, nello stesso istante, il tuo narcisismo si rifà avanti: e quindi ti rifai la statua: la statua nera, dell’impotente inferocito.
Quello che mi racconti di tuo cugino mi strazia: è una storia terribile. Tu ci reagisci male: non c’è che piangerne molto, e forse scriverne. Non arrabbiarsi. Te lo dico perché sono un marxista non ufficiale, e la mia speranza non è retorica.
Ti abbraccio affettuosamente, tuo
Pier Paolo Pasolini
Roma 26 giugno 1959
- 2. Cfr. l’incipit del poemetto: «Nel quaranta avevo cinque anni:/ […]» (A, p. 45).
LETTERA N. 69
A Pier Paolo Pasolini, Roma
Jesi, 10 maggio 1965
Caro Pier Paolo[1],
la presunzione che ti fa eleggere a mio maestro perpetuo è grande almeno quanto la mia ingratitudine («Jesus retira sa main: il eut un muovement d’orgueil enfantin et féminin», Rimbaud, Proses évangéliques).
Una precisazione: non ho mai cercato di «fare fuori» i tuoi amici (sono già tutti morti da «molti anni»). Un consiglio: sta’ attento con Il gazzarra («Je songe à une Guerre, de droit ou de force, de logique bien imprévue», Rimbaud: Guerre).
Mio povero amico, prega per me[2].
Massimo Ferretti
Lettera dattiloscritta con firma autografa
- 1. Risponde alla lettera seguente:
Caro Ferretti,
«i maestri sono fatti per essere mangiati in salsa piccante» diceva Giorgio Pasquali, che tu non conosci, data la tua crudele gioventù. Tu da molti anni cerchi di farmi fuori: prima facendo fuori altri (amici miei) al posto mio, e poi oggi addirittura me stesso. Il lupo ha trovato il pretesto per mangiare Mastro Agnello. Certo la gratitudine è un sentimento insopportabile: ti capisco: perciò non la voglio. Il venir meno della gratitudine è un fatto che riguarda esclusivamente chi viene meno: uno di quei noiosi drammi privati che non interessano a nessuno. E tanto meno all’oggetto della gratitudine e del tradimento*. Mastro Agnello ha però la carne dura, lo sai benissimo. Ora succede questo, che fin che mi amavi, eri Rimbaud: ora che non mi ami più, che ti sei liberato del fraterno maestro, sei un Rimbaud che adisce alle vie legali. Non so se pubblicherò o no il pezzo sul tuo libro (che sarebbe molto funzionale nel mio, e non so perché dovrei sacrificare il mio al tuo), tuttavia il fatto che tu «adisca alle vie legali» cioè cerchi protezione dietro un brutto maresciallo dei carabinieri e un Pubblico Ministero tubercoloso, è una cosa che rende ridicolo e piccolo-borghese te e lascia completamente indenne, filosoficamente e praticamente, me. Sarai un altro benzinaio. Ciao, Rimbaud integrato in una società di imbecilli, tuo
Pier Paolo Pasolini
[Roma, 8 maggio 1965]
* n.d.r.: Nella lettera, una cancellatura copre un clamoroso lapsus: «sentimento» in luogo di «tradimento» (cfr. lettera n. 94, nota 7).
- 2. La decisione di pubblicare G non da Garzanti ma da Feltrinelli (cfr. lettera n. 61, nota 5 e n. 67, nota 1) contribuisce in maniera decisiva a deteriorare il rapporto con Pasolini. Costui ha in serbo una lunga recensione-stroncatura di cui certo F è già a conoscenza se minaccia di «adire alle vie legali» (in una lettera di cui non è rimasta traccia). Pasolini opterà comunque per un’uscita molto ritardata del suo scritto: cfr. Pier Paolo Pasolini, Lettura in forma di giornale del «Gazzarra», «Nuovi Argomenti», gennaio-marzo 1967, pp. 167- 180. Per parte sua, F inserirà all’ultimo momento in G, p. 187, un passo decisivo dell’appena citata lettera: «[…] «Sarai un altro benzinaio», dice Mastro Agnello. […]».