La sua resa alla poesia

da | Dic 6, 2024

Tre poesie in anteprima da “Il minimo comune viaggiatore” di Vincenzo Mascolo, appena uscito con prefazione di Claudio Damiani per Interno Poesia.

 

Sarò lirico e antilirico,
elegiaco antielegiaco,
minimale e ridondante,
sarò spirito e la carne,
sarò tutto e il suo contrario,
sarò pietra levigata dalla forza del grecale
e minuscolo frammento di una roccia acuminata,
sarò lava incandescente dai soffioni dell’inferno
e sarò candore, fiato,
il pudore immacolato dell’inverno,
sarò terra rigogliosa
brulla, secca, desolata,
sarò vasto io, infinito
e sarò poi confinato
nel pensiero che ho del nulla,
sarò eterno, un solo istante,
il profumo inaspettato
di un giardino rifiorito.

 

*

In questa estate così calda
che tutto brucia ormai rapidamente
si sono liquefatti anche i confini
e nulla più separa dalla luce
le tenebre che erano in agguato
si intrecciano visibile e invisibile
la fede si congiunge alla ragione
non si distingue più tra bene e male.

La curva che tracciava il mio destino
si è unita alle altre linee della mano
e non c’è più un principio né una fine
adesso che è caduta ogni frontiera
e il tempo della vita
ha offerto finalmente
la sua resa alla poesia.

 

*

Dell’identità molteplice del treno
– forse, perché no, persino della mia
prima che il mistero rimanga chiuso in me
e il nome mio si sperda fra terra e discendenza –
parlerei con voi per ore e ore
approfondendone con scrupolo ogni aspetto
analizzandola in ogni disciplina
che l’ha elevata a simbolo e a emblema,
in un viaggio ideale che percorrendo l’arte
attraversi la psicoanalisi e la scienza
(lo intraprenderei usando proprio i versi
perché credo in potenza sia tutto la poesia
e tutto possa quindi assumerne la forma
sempre che una forma è vero che ci sia:
il non detto l’invisibile i fasti del sentire
ma anche i filamenti del pensiero razionale
il brulicare oscuro di elementi primordiali
che si combinano e si legano tra loro
generando la composita materia
che non si crea e nemmeno si distrugge
ma da sempre di continuo si trasforma.
È tempo di vegliare anche noi notti serene
di ritornare insieme a osservare il cielo
per raccontare adesso con parole nuove
la profonda densità di quel mistero
che declina la vita dell’uomo e delle cose
è tempo ormai che la poesia e la scienza
riprendano a parlare con una lingua sola
dei sentieri notturni del loro ricercare
l’immutabile principio originario
dell’eterna infinità dell’universo
e di tutto ciò che è per legge naturale.
È tempo, sì, è questo finalmente il tempo
di andare con lo sguardo oltre il confine
che ora divide l’umanesimo e la scienza
di scrutare la natura delle cose
tutte le cose visibili non viste
unificando ragione e irrazionale
ipotesi concrete e fantasia
la logica stringente all’utopia
perché riunendo le due dimensioni
le due metà che formano il reale
si toccano le viscere del mondo
che come aruspici possiamo interpretare
in cerca dei presagi di quel fuoco
che fu per noi rubato ai primi dei.
Andare verso l’Uno è il senso di ogni cosa
condurre all’unità tutto il duale
che ci compone e nel contempo ci separa
corpo e anima vita e morte bene e male
notte e giorno sole e luna terra e cielo
e chi ne ha di più ne aggiunga se lo vuole
a questo risgranare opposti universali
che si ripete uguale da quando è nato il mondo
dai tempi del big bang e da prima forse ancora
dal tempo in cui non esisteva il tempo
quando era il caos a governare la materia
prima, prima dell’ordine del Verbo
che tutto, generando, ha separato.
Di questo ci troviamo a conversare
con il mio amico Gigi nelle giornate estive
mentre proviamo a ingannare il tempo
– ma è lui a ingannarci con il divenire –
rimanendo immobili per ore
a misurare con lo sguardo dalla riva
la distanza che divide l’orizzonte
dalla superficie curva della vita.
E se Gigi non mi sta in cagnesco
quando mi attardo nelle mie teorie
sappiate pure che non manca molto
perché lui abile chirurgo del cervello
è sempre la metà fisica del tutto
che privilegia nel nostro dialogare
la forma di realtà che già conosce
la più rassicurante, abituale
che non richiede di scavarsi dentro
in cerca della fiamma originale
e come Giovanni Drogo nel deserto
nel corso del mio dire sul duale
asserragliato nella sua fortezza
al confine nebuloso del reale
scruta e riscruta in lontananza i segni
dell’incedere nemico che minaccia
la difesa del suo credo razionale.
“Il mondo che disegni è molto bello”
– mi ha detto Gigi un giorno sorridendo
scuotendo però il capo lungamente
come a volersi scrollare dal cervello
da quale degli emisferi poco importa
ogni residuo delle mie parole
anche le particelle elementari
e la radiazione cosmica di fondo
emessa dalle mie onde vocali –
“la lotta tra gli opposti è suggestiva
e mi rimanda al mare dell’eterno
nel quale forse è dolce naufragare.
Ma io vedo intorno a me dolori atroci
io vedo grande sofferenza e pianto
e torno in quei momenti alle tue voci
sull’unità infinita che governa
la natura dell’uomo e delle cose
e a tutti gli altri tuoi racconti
sull’andare e venire dell’essenza
per unirsi alla coscienza universale
e allora penso che nell’esistenza
noi con la finitezza dobbiamo fare i conti
è quella la realtà, è lei la nostra sorte
nessuna tua parola, per quanto luminosa,
potrà mai diradare il buio della morte”.
Ci siamo salutati poi al tramonto
stringendoci la mano un po’ più forte
come volendo apporre nuovamente
il suo sigillo al libro del mistero
che sfogliavamo poco prima insieme
ma ricordo che ancora dopo ore
ripensando da solo al nostro incontro
alla voce di Gigi senza incrinatura
ho sentito più volte risuonarmi dentro
l’eco lontana di quel suo dolore
e nel guardare il cielo della notte
per un istante o forse per mezz’ora
del suo silenzio ho avuto come lui paura)

“Cercai la scaturigine segreta
del fuoco che si cela nel midollo
della canna, maestro d’ogni arte,
via che si apre.”
Eschilo, “Prometeo incatenato”, trad. di Enzo Mandruzzato, Rizzoli.