Il 26 novembre è uscito il nuovo numero di “Nuovi Argomenti”. La sezione poesia ospita un dossier dal titolo “Visualizzare” che riprende i testi di tre autori degli anni Novanta, apparsi già nella rubrica online “Guardare”: Riccardo Frolloni, Maddalena Lotter e Antonio Francesco Perozzi. Con introduzione critica di Maria Borio, il dossier propone una riflessione sui rapporti tra scrittura e cultura visuale nella poesia delle giovani generazioni. Di seguito alcuni testi.
Riccardo Frolloni, da “Amigdala”
Abbassa le luci, gradualmente, giorno dopo giorno, lei
se ne accorge, domanda, ma niente, lui nega, le chiede
se si sente bene, le dice, che si sta preoccupando, giorno
dopo giorno, sempre più fioche le luci e lei che si ricordava
diversamente, i colori, quasi non vede più certi angoli,
ma oramai si inventa le cose, le immagina, finché non diventa
normale, addirittura, condivisibile, in questa notte
della mente c’è una foto, è mio padre da giovane, è in ginocchio e riceve
una benedizione, tutti sorridono, in un’altra c’è l’uomo che benediceva
circondato da sole donne e il resto degli uomini di lato, quasi non si vedono,
io bambino in braccio a mio padre, e tutti sorridono, poi una terza foto
e sono tra altre braccia, sorrido, durante la mia infanzia molte cose
furono colpite da fulmini, ma se nessuno li nega, alcuni fatti straordinari,
possono sembrare normali, addirittura, condivisibili.
*
Maddalena Lotter, da “Una strada nuova”
V
Sòndar
Intorno a Sòndar non è che una pallida pietra volante,
qualche antico rifiuto spaziale e gli occhi padri dell’universo
e per il resto niente
e niente anche all’interno, un centro vuoto senza nucleo
e la grigia pianura è piatta perfetta mai
modellata da passaggi o fiumi d’acqua,
non v’è luce o temperatura
o un’anima che abbia avuto paura
un pianeta potenziale
questo è Sòndar
sogno d’inverno di chi vagheggia
che vi siano ancora uno spazio e un tempo.
*
Antonio Francesco Perozzi, da “Alba + monitor”
Alba + monitor
In alternativa, la vasca dei dati
biometrici sparsa nell’implicito
affrontarla con l’eleganza di chi risorge.
È irrilevante certificare l’origine o la verità
di questo ricordo in cui assomigliandomi
raggiungo l’IBM catodico, come dice il testo,
eredità di mio padre. Sono le sei,
tutti dormono, e il dato è la consonanza
del loading di Windows con l’alba,
plasma aranciato nell’aria e nel desktop,
meccaniche in opera, fasi sorgive.
Ovvio la scena potrebbe essere assemblaggio
fine di ricerche Google e acquisti in app;
ma l’aura di sfinge delle prime console,
il mistero del limite mai più replicato dai giochi,
è sufficiente acché io ricordi, e soffra.
Al di là di ciò che si può dire
l’episodio del monitor è lì che sgrana
il proprio contorno, si colloca.
Con esso mio malgrado so chi sono.