L’età dell’oro

da | Lug 1, 2024

Quattro poesie in anteprima dalla prima sezione di “Miei lari” di Paola Loreto (Marcos y Marcos, 2024).

 

L’ETÀ DELL’ORO

“Quell’esser stati giovani,
averlo saputo.
Certi momenti
rari
attorta sul divano
senza sentire il corpo
(essendolo).”

 

È una stanza chiara,
intonacata, antica.
Ma il taglio di luce
non ha tempo.
Il soffitto è lontano,
con un contorno ornato
a stucchi, il comò vecchio,
intarsiato di legni di tinte diverse.
Il copriletto è vecchio,
in candido piquet.
Niente è lì
per fare bella mostra
di sé. Solo
serve, nitido e onesto.
Dignitoso, pulito.

La circonda un giardino
con le pietre rugose
impastate di sassi
che una volta si usavano
a orlare per bene
le aiuole nella ghiaia.
Teresa Frambrosi. L’amica
della mia amica che inventava
braccialetti di ami da pesca
e dipingeva barattoli di vetro
con smalti colorati.
Il desiderio di una vita.
Libertà alle quattro e mezza
di un giorno di scuola.
Illimite.

 

*

Il cuore affranto
è la certezza che il giallo
di quella primavera da ragazza
aveva un senso solamente nel corpo.
Faceva l’alba e credevi
che il giorno sarebbe più lungo
più avventuroso. (L’orizzonte
più ignoto.) Sceglievi
tra il piano assolato e l’ombra
in anfratto riposto, privato.
Ma un’estate finisce.
Tutte le estati fanno un’estate sola
e il senso è in miniatura,
lo stesso, incompiuto.

 

*

voglio andare tra quell’erba alta
come quando portavo un grembiule di cotone
e le calzette bianche arrotolate alla caviglia
non stavano mai su: scendevano
lungo il polpaccio rosa e liscio
intatto e inerme al tempo
a tutto quel vento
quel secco
quella consunzione
(tutto quel logorio)
finché non resta nulla se non
la voglia di tornare ad allora
la salvezza di uscire dall’ora
di un incerto adempimento

 

*

era un’indolenza sensuale
non la sonnolenza ottusa
dell’età: uno splendido animale
che attende di sapere
la preda che intende cacciare
e accarezza la sua forza
l’accumula, la serra
per il balzo felino
che sprigionerà l’istinto

ancora più profonda
(prendeva le viscere)
se potevi indugiare
sdraiata sull’erba all’ombra fresca
in mezzo alla calura allora
sopportabile di luglio

come considerare
nel meriggio immobile
di potere esistere
non appena il piacere
fosse a disposizione

e inventare un mondo
un odore un’idea:
il tutto che doveva venire