Alcuni estratti da “Gèlita” di Mariagiorgia Ulbar, B#S Edizioni, 2024.
Come un’invocazione
Attendere si può, ma è meglio non cercare
nella vita
in cui congiura di tempo e di elementi
ci conquista sempre con la morte
dicendo il sesso e senso della vita
e alla vita sensuale e alla morte a lei congiunta
nel lontano, nell’altezza
di giorni in cui ci esalta contentezza
e giorni di sprofondo, di terrore.
Ci sediamo:
bellezza non cerchiamo nella vita che si vive
ma in figure di piacere
il vimini allisciato di queste sedie basse
vetro blu oltremare di brocche e di bicchieri
e ciotole di coccio riuniamo innumerevoli
smaltate, striate in verde, con crateri
per mandorle glassate
e tazze sicuramente tazze
che prendiamo a simbolo di sete
amari calici di ragazze poco liete
a contenere neri brodi di caffè
piscine per i diavoli
sviluppi di teschi ripuliti
stagni per specchiare
l’anima per l’anima
tazze nella mano come mele
di Eva, tazze come bombe.
Ci sediamo
intorno a questa mensa tutte insieme
e la lingua ci si attacchi al palato
se il ricordo di voi lasciamo cadere.
*
Un sasso del fiume si sposta
dentro un cesto di uova
così stanno sole le anime
in assenza di un nome.
*
In assenza di un nome
ho visto sull’argine in forma di serpe
andava correndo una serpe
uscita da un buco giungerà dentro un letto
sarà il diavolo in pena di coloro che tacciono.
*
Tacciono i libri le righe stupende
si riavvolgono in stormi che volano indietro
da occhi che non hanno le chiavi
in cima all’autunno tra gobbe montagne
piovono in sassi
lettere e forme
su teste di donne
lapida il cielo se non è ancora pronto.