(“Guardare” è una rubrica che propone poesie scritte da ventenni e trentenni e che prova a raccontare il nostro momento storico dal punto di vista del loro immaginario. Questo percorso ci accompagnerà nei prossimi mesi con un’uscita ogni due settimane. Tessera dopo tessera si configurerà un mosaico in cui speriamo emergano interrogativi, chiavi di volta e genealogie di un tempo che muta velocemente, lascia disorientati, ma chiede anche nuove e autentiche forme del guardare. Nella tredicesima uscita cinque poesie da una raccolta inedita di Leonardo De Santis, nato a Chieti nel 1990.)
LUCIDITÀ 1
Quando era piccolo ha impiccato un gatto a un albero
e l’ha picchiato con un tondino di ferro fino a quando
non l’ha reso un cencio rosso.
Con assenza è cattivo
e punisce senza rimorso il bene.
Tutto è utile, lui no.
La colpa è di chiunque non diserti.
L’aria non guardata con quanto impossibile
desiderio, con quanto
nervoso non potere avere e dare.
Il futuro come unica sostanza del corpo
e mai la corsa che raggiante
lo disperde.
Tollera bene la sua colpa,
finché per terra non scopre un oggetto più assente di lui,
più distratto, che non vuole perdonarlo.
Solleva il dinosauro rosso come se fosse importante,
ma non è questo: niente conta.
Ѐ l’irrilevanza del colore,
il dissenso delle scaglie
che nell’oggetto lo attrae.
Stringe questa bestia polverosa nel suo pugno
perché priva di memoria e non cruciale.
Di questo oscuramente è contento,
di non essere impossibile.
Salvare anche questo, salvare.
E lo lava e la sera
lo fa addormentare con lui.
STUPORE 2
Nella gloria dell’estate guardata
(e non dell’inguardabile, reale)
l’erba sembra quasi lei,
e il fatto che mi escluda mi attrae.
Ѐ già conquista, è già paura, è già
cambiare l’erba-erba in cosa umana.
Mio padre mi trasmette la capacità di imitarsi,
come se gravitasse un bene ingiusto
al quale collaborando scampare, ma intanto
vedo il bambino che non crede alla madre morta.
C’è un ramarro verdissimo, che non si crede
come quando qualcuno bacerà
la stessa bocca che ho.
L’amore bloccherà la crescita
nel momento di massimo sviluppo e fioritura.
Ci sarà da ridere, a restare così.
Tu e tutti l’avete temuto,
che qualcosa potesse farlo
ed essere cosa si voleva, con grande libertà.
Per farti diventare un bambino
se serve, cambiare il passato con una craniata nel tempo,
con un digrignare impotente ché si piange tutto.
Come spostare Elisa dalle strisce,
tenere Jacopo per mano in gita.
Irradiare, irradiare.
STUPORE 3 | POTER ESSERE COSÌ
(«Sai, Misato non è molto portata.
Per cosa?
Per vivere.»
Neon Genesis Evangelion)
Quando nasce non è umano.
Ѐ un oggetto inutile, il bambino.
Polso morbido, ma ancora sottratto al fine.
Provare a imitare la vita che funziona.
Capace di perdere un giorno la sua debolezza, il bambino
beve servito, muore denutrito. Dipende
dalla condizione in cui versa
ed è incapace di vivere.
La sua mano non può essere delusa. Niente
è in grado di deludere una luce del genere,
sprigionata se ride e corre,
se resta nudo nella vasca con l’acqua corrente.
Ѐ l’anno dieci dell’autocoscienza, è il sesso
bianco nella mano, è cambiare
con il discorso cruciale che gravita
sopra il castano dei capelli.
Un giorno servire a qualcosa.
Pensare l’atmosfera che protegge la Terra,
la membrana che protegge una cellula
come a una funzione comune.
Così guardare dentro, invece
dove il vuoto è un pericoloso verde
che continua a nascere fresco
senza poter essere aggredito.
Ѐ il pendio disumano sul quale
respirano molti niente e sporge
dall’assenza un amore senza base
non un riparo, un dialogo solvente.
C’è solo la pianta che sorge
come un tuono contrario dalla bocca
alle alte sfere.
Di continuo ritornare dall’infanzia futura.
Babbo come posso restare
verde così
pur andando via poi, come posso?
Tu che non puoi essere deluso…
LUCIDITÀ 4 | CREDE NEL SUO GIOCO
Un gesto rituale come dare
una coltellata alla terra, nella terra
e aspettarsi che la terra muoia,
credere che la terra sia morta.
Soltanto un ingenuo che crede così tanto a che cosa non vede,
che vuole così tanto qualcosa che ancora non vede,
voi
ha con sé il coltello bianco.
LUCIDO STUPORE 1 | BERE SENZA FARLO
Poi per anni cercare di essere quell’uomo
senza mai scoprire un capriolo a bere,
chino e debole a bere, che ha sete
che ha gli occhi che non se lo aspettano.
Il pericolo è dover vedere, non essere più
portati per l’acqua. Gli occhi,
chiusi sul bere. Che cosa non sente era bello
quando poteva abbandonarsi.
Adesso deve guardare e reagire,
deve essere un capriolo.
Non ha mai visto un uomo prima d’ora, non ha
mai letto ruscelli papà, oppure occhi.
Non immagina lontanamente chi sei, cosa è lui.
L’uomo è una cosa che ha smesso di bere.
E poi me nella neve nei guanti.
Non sono ancora abbastanza debole,
non sono ancora abbastanza debole.