(“Guardare” è una rubrica che propone poesie scritte da ventenni e trentenni e che prova a raccontare il nostro momento storico dal punto di vista del loro immaginario. Questo percorso ci accompagnerà nei prossimi mesi con un’uscita ogni due settimane. Tessera dopo tessera si configurerà un mosaico in cui speriamo emergano interrogativi, chiavi di volta e genealogie di un tempo che muta velocemente, lascia disorientati, ma chiede anche nuove e autentiche forme del guardare. Nella undicesima uscita alcune poesie inedite di Giulia Martini, nata a Pistoia nel 1993.)
Et eu so kosì davanti a vui
quando entrate e uscite dalla nebbia
e fate finta di parlarmi e invece
mi dite una cosa che sembra scritta.
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FRAMMENTO DI RE ENZO
Allegro cuore, batti pienamente
di tutta beninanza, lei verrà.
Da questo spiffero alla porta, magra
ci passa che è un piacere aprile e maggio.
Su con la gioia dunque, batti, batti,
preparati a fare fistinanza.
*
Per cortesia, ridatemi le terre.
E allora sì che giausirò di gioia,
farò un verso di diritto, per niente.
*
Inoltre voglio un altro mandarino
in questa vita, fino a questa vista,
e datemi una camicia et una boda rota
e datemi un’arca et un lectum unum
et une tesoire e una quartina di castagne.
(Sei sempre stata solo un documento, un atto patrimoniale in un registro, una dichiarazione di consistenza dei beni posseduti.)
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Questo appezzamento è di Stefano, lo so,
e quello che contiene, da trent’anni,
fino ai confini additatimi dal messo comunale,
non dal camerlengo, dal balitore.
Eppure anche Maria possette la terra,
lo so perché lo vidi e lo ricordo,
parte sancte Marie, con tutto che c’è dentro
e gli anni e la zona coincidono.
(Ma faremo lo stesso un sopralluogo dei beni immobili, anche solo per decidere se redigere un placito o una memoratio.)
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FRAMMENTO DI WÜRZBURG
Parlo per dire ma è vero il resort
e specialmente il sole d’oro fuori.
Quelli apparve, non colui apparve,
parve di coloro, non di costoro.
Là sorge fumo nuovo dalle case.
Non entro, non vi spio dentro le case.
Ma il punto semovente in linea retta
fui eo, madre, in civitate…
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DECIME DI ARLOTTO
Cotto figlio di Donnina tutta.
Casa Tegrimi Bonaci tutta.
Tomarello tutta decima.
Casa del Bianco tutta decima.
It ci dene pagare Iacopo, sua mano
per giugno tredici, anzi che luglio,
e se non pagasse promise di pagare Guido
e disse che li dava di lino i panni d’oro
al fanciello Aldobrandini, per il grano.
(Sembrano soltanto frammenti di conti, dunque un testo di tipo pratico, come il primo documento europeo del genere, dal registro contabile di una compagnia di Firenze. Non fai diversamente quando metti me, la mia faccia, le mie siga, tutte, nel libro aperto del dare e dell’avere.)
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RITMO CASSINESE
Io, signori, se io favello
il vostro udire compello
di questa vita vi interpello
e dell’altra spello, parlo bene.
Sence abbengo, se mi sono incastellata
in alto, France, certe credotello
non in un castello, al ristorante
e portarvi a tutti da mangiare.
(Ma ditemi una cosa dal disdotto voi che state in tale, quale bita bui menate? Que bibande mandicate?)
*
A questa vita audire spello?
O gloriose stelle o lume spento
oppure lume spento giallo oro
non compro, vendo tutto, non c’è modo
non c’è verso di tenerla ferma, la tua faccia geocentrica.
*
La più lenta rivoluzione delle stelle fisse è meno di un battito di ciglia, quindi puoi smettere di costruire castelli e ville, ciascuno con il suo campo.
L’intensità, l’insistenza
del modo in cui rinascerai
di nuovo sotto il segno dei Gemelli
li distruggeranno.
Puoi persino smettere di difenderti,
tanto non vedrei dove sei nemmeno se mi voltassi.