Cinque poesie in anteprima da “Prodigi” di Anna Ruotolo, uscito per PeQuod.
Parliamo del prodigio
e del prodigo, una radice
tolta alla terra e una lettera d’inciampo:
un prodigio è un prodigo perfetto
fulminante pane stellato
ricetta infinita di doti
così ignote prima, così remote
e regni, un posto regale
una religione tutta
e un cratere che sorregge
col suo fuoco.
Un assalto che non finisce più
un tendine teso per il salto
la tentazione, intima, di vederlo
continuare per sempre.
Ma il prodigio è prodigo tutto per sé,
dispone il lampo del miracolo
e prende una sua via diritta
e leggera,
quasi sempre nel momento
in cui ridiamo e piangiamo
per quel che porta e lascia
accanto a noi,
proprio quando ci stringiamo per lui
dandogli le spalle
– immense e illuminate –
nel mentre del suo volo.
*
Il potere su una costellazione,
pensa alla grandezza
con la fronte e con la
schiena poggiate a terra.
Io ti parlo di un esempio
senza spazio e senza tempo,
il potere di accendere
tutto e ribrillare
il potere, poco dopo, del buio
e del lutto.
Ma io stancherei le stelle
«Fruttate, figliate forza nelle fibre
elettriche», direi.
Direi di fare col loro corpo
il continuo restare
bruciare e risplendere,
incandescente vincolo
e comando
solo per il bene.
*
Non ti dico più niente,
devi farlo tu,
anche di nascosto
devi dire quello che cresce sotto
la lingua, fra le file dei denti.
Puoi lanciare un sasso piccolo da questo belvedere,
una cosa che non faccia male a nessuno
ma che abbia il suono di un “click”,
come quando scatta la serratura,
la centesima combinazione all’ultimo
tentativo
e allora il collo ti si fa dorato
riverbera sul maglione
accendi ceste e pianti le tue
gemme gialle nelle vigne,
perdi frammenti dalle tasche
e chi ti vede e vede ciò che lasci
dice: “questo è un uomo fortunato”.
Vedi, bisogna lanciare il sasso,
spegnere la sigaretta,
allentare il nodo della sciarpa.
Se vuoi ti offro le mani,
prima una, poi l’altra.
Non dico più niente.
Il posto è tuo, io sono qui.
Aspetto. Il fiume scende.
*
Come un bracciale teso sopra
il mare
che cade e fa un abisso
e si spalanca, poi, tutto
la terra, il fuoco dei figli
e dei figli dei figli
e di noi creature che ricresciamo
dopo la perdita,
rinnoviamo la carne
in controtendenza col resto
che si riduce,
si perde nel corallo
dell’acqua e affonda
e non riaffiora più,
come quella caduta grande
che apre per sempre la fitta dei doni
cresciamo e nasciamo infinite volte.
Oh se potessi provarlo.
Se potessi.
*
La parola per questa cosa
che accade è “finalmente”
lunga circolare
e chiara e mondata
come la situazione
dell’aria dopo il temporale.
Ma poi dico “forse”
e forse è la noia
dei palazzi che scendono
tra i rami
è qualcosa che scorre
tra i miei capelli
e la maniera di parlarsi
di quei due, soli, alla porta
occhi solitari che tirano via
le mani dalle mani.