In Europa fa freddo. In Italia è scuro.
Il potere è ripugnante come le mani del barbiere.
Oh, si potesse spalancare quanto prima
sull’Adriatico un’ampia finestra.
Sulla rosa muschiata un ronzio d’ape,
nella steppa a mezzogiorno la cavalletta muscolosa.
Pesano i ferri di cavallo alato,
la clessidra è color giallo e oro.
Nella lingua delle cicale un’ammaliante miscela
di puškiniana tristezza e mediterranea boria,
come edera molesta, che tutta si aggrappa,
lui mente spavaldo, e si sfrena con Orlando.
Gialla e oro la clessidra,
nella steppa a mezzogiorno la cavalletta muscolosa –
vola dritto sulla luna il contaballe dalle larghe spalle…
Ariosto cortese, volpe d’ambasciata,
felce fiorente, veliero, aloe,
sulla luna sentivi le voci degli zigoli,
e alla corte dei pesci eri consigliere scientifico.
Oh, città di lucertole, città senz’anima, –
Ferrara arida, da una strega e un giudice
figli così hai partorito, e alla catena li hai tenuti,
e in questo deserto il sole è sorto di un fulvo intelletto.
Ci stupiamo della bottega del macellaio,
del bimbo assopito in una rete di mosche azzurre,
dell’agnello nel cortile, del monaco sull’asino,
dei soldati del duca, un po’ invasati
per il vino, la peste, l’aglio, –
e della perdita ci stupiamo, fresca come l’alba…
maggio 1933 – giugno 1935