Per Pietro Polverini (1992-2023), ripubblichiamo cinque poesie da “Indice sommario di sbiadimento”, uscito con PeQuod nel 2022.
“Scegli la rosa della tua memoria”
(Carlo Betocchi, Il sale del canto, 1980)
È uno stelo, non una selva
che si imbianca, perde liquore
ora stilo senza vena.
È uno stelo poi torna
in questo acquario
terso senza selva
con luce che non torna:
resta in un piccolo punto
riportami là, lì ero tutto.
*
MEMINI
qui nella bianca stanza d’estate
dove tutto in un punto si raccoglie
così poco esisti
in questo nostro sereno
cuore dove stagna l’onda
parla una ramificazione nel vuoto.
dal bianco che s’irradia dal silenzio
composto del nostro lenzuolo
attendo un altro paese o
una mente buia d’inverno.
perché mai posso stare
coll’orlo del tuo futuro,
ritorna qui nella memoria
nel punto dove tutto si raccoglie
perdendosi, se così poco esisti.
*
Spesso a voi ritorno col pensiero
che siate vivi o morti poco conta:
circondati in un cerchio di betulla,
senza ago di luce, ma di foschia
solo lo spazio ha dovere di mischiare
le acque, sporgersi di fronte ad un
bosco – “lucus a non lucendo” per dirti
che se gli occhiali si fanno appannati
di coltre biancofumo o di bruma senza
visione, resti ancora in controcampo.
*
“Proxima sideribus tellus Erymanthidos Ursae
me tenet, adstricto terra perusta gelu.
Bosphoros et Tanais superant Scythiaeque paludes
vix satis et noti nomina pauca loci.
ulterius nihil est nisi non habitabile frigus.
heu quam vicina est ultima terra mihi!
at longe patria est, longe carissima coniunx,
quicquid et haec nobis post duo dulce fuit.
sic tamen haec adsunt, ut, quae contingere non est
corpore, sint animo cuncta videnda meo.”
Terra prossima alle stelle dell’Orsa Erimantide
mi trattiene qua dove tutto è arso dal morso del gelo.
Di là c’è il Bosforo, il Tanai, la palude scitica
qualche nome di luoghi ignoti.
Di là, di là ancora più avanti solo un freddo invivibile.
Prossimo l’ultimo orlo del mondo.
Lontana la casa, lontano il caro amante
e tutto ciò che fu dolce dopo di loro.
Tutto questo resta presente tanto che se
non posso toccarli col corpo, li posso vedere
unite nell’animo.
(Publio Ovidio Nasone, Tristia, III, 4b, vv. 1-11, trad. nostra)
*
“Dilla per me, Johannes, la parola”.
(Patrizia Valduga, Belluno)
Vorrei sapere delle parole
il numero: apprese
obliate, annotate.
Ora ho una corolla di nomi
che si spunta e sbiadisce:
non lasceranno traccia sulle
increspature delle labbra.
Delle parole vorrei sapere
forse fiato, forse voce
quale sarà la mia ultima:
tutto pieno di sonno e nebbia
potrei dire “acqua” o “lenzuolo”.
Vorrei sapere delle parole
il numero: di quelle che
possono lasciare la faretra,
strale che conosce il bersaglio
ma voi nomi senza bersaglio
siete le api nella mia bocca,
siete le suture per cucire
lo spazio monco tra chi dice “io”
e questa bianca valanga di nulla.
Vorrei sapere delle parole
non il numero, non la forma,
non il suono. Del verbo vorrei
riconoscere il principio per dire
che dal principio non ritrovo
la parola.