Cinque poesie.
ERBARIO DOMESTICO
Il filosofo antico diceva: e il mondo accade
oltre la finestra, oltre le nostre strade, oltre
le nostre lingue a forma di statua greca.
Potremmo dire che vige uno strabismo
domestico, nuovo strabismo umanoide:
dalla luce ovattata delle nostre stanze
le montagne sembrano piccole e noi grandi,
ma quando ci avventuriamo, al di fuori,
al di là, oltre, le montagne sono grandi
e noi siamo così piccoli, tutto il nostro
dizionario sta nel palmo di uno scoiattolo,
nell’incavo di un tronco di frassino,
in una manciata di muschio strappato.
Possiamo continuare a tatuarci addosso
modeste poesie rivelatrici, profetiche,
ma tutto quel che possiamo è rincorrere
nelle nostre ombre architettoniche
la profondità del buio, il mistero della notte
*
IL CAVALLO
C’è un cavallo che mi fissa nel buio,
non capisco se a spaventarmi siano le tenebre
che porta cucite negli occhi, o se sia la luce
che di riflesso rimbalza dalle tenebre che
lo circondano, questa notte pesta che accomuna,
che blandisce, pronta come un insetto predatore
a divorarci, senza ragione, per puro istinto.
Ogni tanto si presenta col suo muso brunito,
non emette suoni ma è come se la mia mente
li conoscesse bene, come se fosse lì proprio
perché le mie mani sono pronte ad afferrare
le redini e a partire per un lungo viaggio,
o corto, una campagna vale l’altra quando
si tratta di uscire a cavallo per una cavalcata.
Ma tu non sei un lord inglese del Settecento,
queste non sono le dolci colline del Kent,
qua fuori c’è la rovinosa provincia italiana,
i capannoni dismessi, le torri spezzate,
un’umanità che ricorda quando la natura
era amica, materna, quasi una cartolina.
Chi è il tuo padrone, cavallo che mi vieni
a svegliare? Perché sei qui ai piedi del letto?
Sei tu a precipitare nei miei sogni o sono io,
inetto palombaro onirico, a precipitare nei tuoi?
*
INSETTI & CO.
Lepidotteri, ovvero bruchi, farfalle e falene,
imenotteri, ovvero api, vespe e bombi,
i coleotteri, cervi volanti, maggiolini e lucciole,
ditteri, ossia larve, mosche, zanzare e tipule,
i celiferi come cavallette e locuste,
i fasmidi o insetti stecchi e insetti foglia,
e poi i rettili, lucertole ramarri e serpenti,
anfibi come rane, salamandre e assolotti,
i roditori, i topi, gli scoiattoli, i moscardini,
e capibara e nutrie, criceti e comunissimi ratti,
i passeridi, passeri, fringuelli e occhialini,
gli irundinidi o rondini, balestrucci e topini.
Il libro di scienze è sempre aperto, eppure
mancano sempre i lemuri, chissà dove li hanno
nascosti ma così comuni nei libri illustrati,
e i dinosauri, ringhianti, minacciosi, estinti!
Noi umani siamo soli, non puoi chiedere
ad uno scimpanzé di difendere la tua tana,
ma gli insetti sono un milione di specie.
Gli uomini delle caverne erano fortunati,
non lo sapevano quanto erano soli al mondo,
quando il tempo nemmeno esisteva, prima
che qualcuno incominciasse a contare
*
DESERTO ERMETICO
E c’è un deserto, questo è chiaro:
un deserto è inequivocabile, non
puoi sbagliare, il deserto è ineffabile
ma certo, intraducibile ma al contempo
non-tradibile, non lo puoi scambiare per
un porto, o per l’oceano blu, men che
meno per una città di fango nel Mali,
un cinema all’aperto il mese di agosto,
un paesaggio in scala coi trenini che
camminano, le casette, gli alberi,
le stazioni e i passaggi a livello.
Il deserto è piatto, il deserto è arido,
il deserto al suo centro ha sempre un
uomo, con uno strano cappello a fungo
che non si capisce bene che cosa ci
faccia, lì, nel mezzo, da solo, remoto,
quasi dimentico di se stesso, eppure vivo,
c’è, sa di esserci, anche se non siamo
noi certi se sia un uomo di oggi, o un
antico passatore scaltro di contrabbando,
o al contrario il figlio di una dittatura
del futuro, un abitante d’asteroide
catapultato in un deserto piatto e arido
apparentemente senza tempo, ma forse
siamo noi di un altro tempo, fuori dal
suo tempo, o lui dal nostro, eh già, si
fa in fretta con le parole a confondersi.
Ma questo uomo solitario, sotto il suo
grande cappello di robolex a fungo
è un uomo, in carne ed ossa, oppure
è un uomo sintetico, un androide,
una macchina-uomo senziente?
L’uomo è questo che noi ammiriamo
oppure dentro l’uomo ci sono magari
altri due piccoli uomini, minuti, così,
magari un maschio del futuro e una
femmina del futuro, che si amano,
che ora si sono stancati di fare quello
per cui erano stati mandati nel deserto
e allora via i vestiti, via i transistor,
le mani che fanno i fatti loro, i corpi
che gioiscono e si esplorano, come noi
orgiasticamente sudati, ebbri, felici?
Curioso come anche un deserto arido,
piatto, desolato, costellato di sassi
e di cactus spinosi, di agavi, di piante
ombrello e piante mastello e piante
virus e piante gomito e piante ossa,
forse simile oltremodo a quello che
un giovane Moebius attraversò da
ragazzo in Messico, entusiasmandosi
e iniziando a covare quelle visioni
che poi lo accompagneranno per una
vita intera, una vita dei nostri tempi,
non una vita del futuro anche se i suoi
personaggi sono spesso futuribili,
spesso volano sopra i deserti, spesso
atterrano nei deserti, spesso lottano
nei deserti, deserti a volte rossi,
a volte celesti, a volte bianchi e
a volte gialli, magenta o pervinca.
Bisognerebbe informare i due
giovani piloti del futuro che sta
arrivando la notte, e la notte in un
deserto fa molto freddo, meglio
vestirsi, è opportuno coprirsi,
altrimenti ci si ammala, altrimenti
si prende il raffreddore ed è sempre
una scocciatura quando si è via
da casa, lontani, remoti, dimentichi
come a se stessi, magari dentro
una macchina-uomo senziente,
senza le aspirine del futuro nella
tua casa del futuro, una gatta
oleografica che pesta sulla tua
coperta di lana spaziale del futuro
e quante e chissà quali chincaglierie là
*
DILUVIO
Ogni qual volta la pioggia insiste per diversi giorni
in fila il Giorgio spalanca le porte del fienile e mostra
al mondo la sua creazione: un’enorme barca dal ventre
nero, cotta nel fuoco, incatramata, pronta a resistere
la prova del Diluvio, acque minacciose che ricopriranno
le terre emerse, e noi, brughieristi convinti, i primi
dopo gli abitanti delle isole oceaniche e città portuali,
e alla fine anche gli abitanti delle montagne, e giù
citazioni in latino, passi dell’Antico Testamento
imparati a memoria, così, per diletto, per sfrontatezza.
Giorgio! Come la stà l’Arca? Siamo pronti all’estinzione?
Piccole punture da api di provincia, ma cosa vuoi che
senta un uomo abituato alla solitudine, pronto alla fine,
ligio al suo elenco di animali e insetti da salvare, in ordine
dimensionale, dal più grande al più piccolo? Chissà
se Noè si è occupato anche delle specie esotiche,
la nutria o la vespa cinese, il siluro e l’okapi, sai
ci sono anche le ultime novità in fatto di zoologia
(da “Agreste. Silvario in versi & radici”, Piano B Edizioni, 2023)