Avot Yeshurun (Niskhish 1904- Tel Aviv 1992), è nato il giorno di Yom Kippur, all’ora della preghiera di Neilah (alla lettera “la chiusura delle porte”, ovvero del giudizio di Dio sulle anime dei fedeli), in un piccolo paese polacco (oggi Ucraina dell’est) con il nome di Yeḥiel Perlmutter. Avot Yeshurun è un nome-espressione coniato dal poeta poco dopo il suo arrivo in Israele, allora la Palestina mandataria, e il sui significato è stato interpretato dal critico letterario israeliano Dan Miron come segue: “Il significato letterale dell’espressione avot yeshurun è ‘i padri ci giudicheranno’: yeshurun “esprimeranno il loro giudizio su di noi”, chi? avot “i padri”: coloro che sono rimasti In Polonia”. Gli occhi dei padri, degli ebrei rimasti in Europa e le cui vite avrebbero
affrontato uno dei drammi più grandi del ‘900, ci osservano, e il loro dolce yahandes, l’etica ebraica di cui erano portatori, giudicherà dal lontano passato, il nostro futuro.
Per lungo tempo isolato dalla scena letteraria israeliana, e svolgendo occasionalmente i lavori più disparati (da operaio nelle imprese edili a raccoglitore di frutta nei campi) Yeshurun inizia a farsi conoscere al pubblico intorno la fine degli anni ‘70 fino a ricevere poco prima di morire nel 1992 il premio Israele per la poesia. Nella sua lingua poetica, l’ebraico incontra e si mescola con l’arabo lo yiddish. Yeshurun fu anche uno dei primi ad alzare la voce pubblicamente contro l’espulsione degli arabi nel 1948, e poi contro la progressiva militarizzazione della società israeliana. Considerato oggi uno dei più grandi poeti israeliani contemporanei, la sua opera resta ampiamente non tradotta. Tutti i testi di questa raccolta sono tradotti dall’antologia di poesie e prose scelte (1934-1991) intitolata “Milvadeta”, Edizioni Ha-Kibbutz ha-Meuḥad, Tel Aviv, 2009.
A cura di Francesca Gorgoni
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SONO NATO… (estratto)
Sono nato nel distretto di Volhynie il giorno di Yom Kippur, in casa di Rebbe Nezkhisch – il padre di mia madre. Sono cresciuto nel distretto di Lublino, a Krasnystaw in Polonia, in una città squadrata, nella casa del proprietario di un mulino ad acqua – il padre di mio padre. Nella casa di Rebbe Nezkhisch, vi era una stanza chiusa a chiave in cui si trovava un armadio chiuso a chiave, e in questo armadio, una Torah chiusa che chiamavamo “Purezza”.
Un giorno, mio fratello piccolo trovò un francobollo del Fondo nazionale ebraico e la notte in gran segreto glielo rubai. Il mattino seguente lui se ne rimpossessò, e la notte dopo, in gran segreto di nuovo glielo rubai. Andò avanti così per molto tempo, rubandocelo e rimpossessandocene senza dirci una parola.
Un giorno immigrai in Palestina.
Il francobollo rimase lì.
Inviai a casa una lirica sul Paese.
La poesia rimase lì.
Io venni qui e vidi dei cammelli:
tutto il tempo con il collo teso,
come se il desiderio li trascinasse fino a usurargli l’anima.
(1942)
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A FORZA DI DISTRUGGERE
“…hai chiesto com’è che si diventa Avot Yeshurun? a forza di distruggere.
Ho distrutto mio padre e mia madre, ho distrutto la loro casa. Ho distrutto la pace delle loro notti. Ho distrutto le loro feste, i loro sabati. Ho distrutto la loro lingua. Presi in odio lo yiddish, e la lingua a loro sacra la usai per il quotidiano. Gli ho reso odiosa la vita. Sono uscito dalla condivisione. Quando è giunta per loro unʼora senza via di uscita, li abbandonai nel senza via di uscita. Allora sono arrivato qui. Nel Paese. Ritrovatomi solo nella baracca, su un letto di ferro, udii una voce che mi chiamava con il mio nome di prima, la voce – la voce di me stesso a me stesso. La mia voce partiva dalla testa per diffondersi in tutto il corpo, e molto tempo dopo, con la carne ancora tremante, cercai un modo di fuggire cambiando nome e cognome e con il tempo sono riuscito a ebraizzare i nomi. È stata una misura difensiva, è grazie alla voce che mi sono
risvegliato. Temevo di addormentarmi di nuovo.”
(1973)
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LA DATA
In fondo a ogni poema è posta una data. Il giorno esatto nel quale qualcosa prende vita. La data in fondo al poema è lʼintimità, la porta dei segreti. La ricetta per il lancio delle prime tre linee del poema, del nuovo nato. La data è la sorella maggiore. È lì, presente, ma estranea ai dubbi, alle cancellature, alle riscritture. E ancora: così come ogni cosa in questo mondo è a immagine dell’uomo, così è anche il giorno della sua nascita. Il significato particolare che gli è attribuito vale per sempre. Un uomo può andare in giro tutta la vita portandosi dietro una piccola agenda, e in questa agenda una data. Una data non si poggia sul nulla. Rallenta lʼavanzare nel nulla. La data, è la scelta, il destarsi di un desiderio nel mondo del nulla. Quando una sola di queste date
viene sottratta al mondo, il conto non torna. Tutto cade.
La stessa cosa è accaduta a Abu Zenaima. Il deserto del Sinai, con mano di tempesta, strappava, granello dopo granello, il calcare per renderlo pietra assieme alle piante salate del mar Rosso, e modellava sul suo cuore di pietra montagne di polvere per frenare il suo slancio. Il deserto, come Dio, si poggia sul nulla.
In quel giorno avvenne per lui qualcosa. Era un giorno designato.
Comprendo, correggo i versi, ricambio i fogli, ricopio la poesia. Ma la data, non si tocca. Dico: questo giorno è un giorno designato.
La data è il segreto di un giorno.
E una volta raccolti i poemi per la raccolta “Questo è il nome del libro”, li riunisco ognuno con le loro date. Proibito separare.
(1974)
*
SPOSSESSATO*
Nella via in cui abito
non potrò più cambiare camicia
non potrò più sfilare i pantaloni
stringere l’elastico della biancheria.
Non ho altro presente – che la poesia.
Né il metro, né il verso, né le cose.
Né le cose che sono nella poesia.
Né la poesia che è nelle cose.
(4 Novembre 1990)
(*Dall’ultimo libro di poesia di Avot Yeshurun, “Ein li aḥshav” – “Non ho Presente”)
*
HO CAMBIATO PATRIA
Ho sostituito una patria
con un’altra patria.
L’immobile
contro il mobile.
Ho sostituito un paese
con un altro un paese.
L’immobile
contro il mobile.
O
una non-presenza
contro una presenza
incessante.
Mi ha colto
la nostalgia
per la non-presenza:
è la neve che mi ha ustionato.
(19 ottobre 1990)
*
APRI
(PREGHIERA DI NEILÀ*)
Alzati, vieni
là dove
ti mostrerò
da dove sei uscito
e arrivato nel luogo stesso.
Aprimi, apri a mia madre
l’ultima porta
e io nascerò.
(18 settembre 1991)
(*La preghierà di Neila, alla lettera “chiusura della porta” è la preghiera solenne con la quale si
conclude l’officio del Kippur. “Apri” è il penultimo poema scritto da Avot Yeshurun.)
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DALLA RACCOLTA: “TRENTA PAGINE”
1.
Verrà il giorno in cui nessuno più leggerà le lettere di mia madre.
Ne ho tutto un pacchetto.
Né di chi
Né una parola.
Verrà il giorno in cui nessuno le prenderà in mano.
Ce n’è tutto un mucchio, troppe.
Diranno: pezzi di carta
e niente più.
In quel giorno le porterò alla grotta di Bar Kokhba
per consegnarle alla polvere. Il passato
non andrà a cercarvi
una lingua madre.