Sei poesie da “Ipotesi del vero” di Giorgio Ghiotti, uscito per LiberAria Editrice.
Ciò che di me ha la forma
da me irradia e passa per un punto
tanto più stretto da lasciare un’orma
leggera come uccella. Di quella
prendo il volo, le due ali, la levigata
aria che la innalza;
della mia nuda specie il corpo e il canto –
così per sempre l’angelo dispare
e poi riappare, custode dell’immagine
perenne.
*
Tre sono i dubbi, il mistero schiude
la mia vasta comprensione del numero –
ma è uno spettacolo tanto più grande
d’uomo o d’animale e impone un salto,
una chiave di altra natura che questa
nostra persa, tenerissima, mortale.
*
La serratura scatta per la mente
che tiene a mente quanta poca cosa
è credersi bastevoli nel niente
che siamo. A poco a poco stacca dalla roccia
la ragione, si affida il senso e teso
a un grande vuoto simula – realtà spiovuta
dall’immaginazione – la mente del dio,
la sua giustizia vera e la comprende.
*
La stella mi è compagna e mi raggiunge
scendendo da altitudini e nel nero
come pensiero fermo al mezz’agosto
non so se devo a lei o alla più vasta
inquadratura dentro cui mi immergo
questa mia storia in cui io vivo e sento
e guido l’animale e mi consegno
ad una volontà che non mi piega,
che mentre avanza invoca un sentimento.
La stella mi accompagna, è testimone
e io la guardo e non mi sento solo –
ma è dolce inganno ed ogni mia parola
da me solo proviene e questo è mio
supremo compimento di destino.
C’è una volontà nell’affidare
ai flussi alle correnti alle maree
interamente quanto si vorrebbe –
è credere un dominio, uno splendore
in cielo, e noi giocare il gioco dell’attore
fedele unicamente a un canovaccio, a un velo.
Io sento un laccio spingermi all’altezza,
sono la stella spenta di me stesso.
*
Mi pare d’avervi tutti qui, amori
del sempre, custode ognuno di una storia
che mentre si è compiuta preparava
il dopo inarrestabile del tempo.
E ora un poco tutti li confondo
i nomi degli amanti, ora che
incontro mi venite dal vostro
regno d’oro, il mio passato.
Ma l’occhio sta dentro il suo limite
spingendosi oltre i cieli delle stelle
cambiando pelle crescendo in una lingua
che muta possa interrogare l’opera
divina che nel sogno lo risveglia.
Amori giovani che poesia raduna
così vi costruisco, così vi innalzo
piccoli altari di memoria in ogni piazza –
voi siete la materia che è rimasta
e ancora la comprende e ama la mente,
così voi siete il cielo che mi spiazza.
*
Il fuoco è un esito
di vicinanza abissale – la mano
che lo tocca ha la purezza
della fiamma, la stessa
volontà che non lo inganna.
Nel fuoco è già compresa la sua fine
e mentre brucia vive di una vita
scampata anche a sé stessa, nata
nella quiete di un confine. È volontà
suprema sapersi salvi e intanto
andare incontro ad un destino che
mentre ti innalza brucia la sua pena.
Non si sosta sul limite, giunti qui
si prosegue nel fitto di un’idea
con una volontà che non si piega
per me, per te inviolabile.
Senti le fiamme adesso, impara
il loro verso, fatti santo e strega,
conquista un io più vasto.
Essere vivi – e volere –
è la capacità di un dio.