Da “Atelier d’inverno”, introduzione di Roberto Galaverni, con una nota di Milo De
Angelis, a cura di Franca Mancinelli e Rossana Abis, AnimaMundi Edizioni, Otranto
2023. Selezione a cura di Dario Bertini.
riemergere fra gli dei
prevede l’idea che questi stiano in alto.
È meglio allora che l’analista padre
si adatti all’ipotesi di lasciarmi abbandonato
sul greto del fiume,
sempre che il suo onorario
non pretenda un sovrapprezzo
per la trasformazione
da umano a farfalla.
(Comunque sia, la bocca si allarga
in prossimità dell’acqua
e gli occhi bevono il verde del parco)
*
penzolante dentro una corriera sgangherata che arranca,
(da cui una discesa a vortice sulla tempesta bianca),
insieme, dentro un sonno d’alba, su file parallele,
pronti allo scatto, agli antipodi…
poggiati su vetri non distanti ci sogniamo…
e viene un nodo alla gola, si guastano le mani,
dissolvono su dita porose. Allora lasciami.
*
A conferma di quanto detto e sostenuto prima
Si lamentava della mancanza di una qualsiasi uscita
Scorgendone svariate per altri, tutte comode e perseguibili –
Perciò, amore, non andrà lontano…
E come potrebbe in queste condizioni…
Tutto per lui è così difficile
Da risultare scontato fin dalla partenza
Bruciato presto ogni piano di difesa, ogni ponte di fuga,
(Anche le vettovaglie, tipi di leccornie,
La gelatina mobilissima degli arti da recuperare),
Sei bravissimo in questo
E lo sai che in questo consistente
La fattispecie, la pratica di ogni morte
*
un’onda pelvica e vinosa m’avvolse,
(la distesa in un dolce arretramento),
il furore del dio germano era pari
al diluvio d’amore d’una bambina
come me del tutto bagnata……….
…grappoli di dita che tiravano
capelli nella nube di nebbia –
qualcuno era gravemente irritato,
ché solo a pochi si permetteva
l’agilità della salita –
dal fumoir in velocità si distinguevano
polpe boschive e terra nera tritata,
ambìta dai vasi di stinte foglie…
in ogni dove umidi tumuli e sepolture…
(vidi pesanti stendardi abbassarsi,
un tempo di vento)
*
era dunque quello che amavo, che avevo sempre amato,
il divagante azzurro dell’alba nella piscina,
nell’acqua della piscina ferma e vuota,
(perché nessuno vi nuota), sul fondo di assenti siepi,
e un uomo, quasi ombra, addormentato sui bordi,
oppure accasciato (morto d’infarto o assassinato),
sotto il largo settembre, nella brezza che appena
gli increspa il lino dei capelli, il fresco
e il silenzio del paraluce chiuso…
(più in qua rispondono le forti canne di zucchero turco,
dall’olio d’oro e due amori, in tale mare persi, risvegliati
da un nuovo ardore)