Da “La specie storta” di Giorgiomaria Cornelio, uscito da poco per Tlon edizioni con partiture visive di Giuditta Chiaraluce, pubblichiamo quattro testi.
«E offrirono davanti all’Eterno un fuoco illecito,
che egli non aveva loro comandato. Allora un fuoco
uscì dalla presenza dell’Eterno e li divorò;
e morirono davanti all’Eterno».
(Levitico, 10:1-2)
I vecchi teologi della quercia funestavano con decreti il cervo volante, maestro di rinascite:
– Lasciate le molliche, la pera zuccherina, e cavatevi tutti gli intestini, perché non risorgeranno. La trebbiatura consiste nel separare gli organi utili da
quelli superflui, la giusta fiamma da quella ingiusta.
Ribatteva il cervo volante:
– Certo, tra le mandibole porto sette braci, ma per vegliare un unico incendio. Dai miei occhi farò allora incominciare l’oblio dei divorzi: collimano
all’entrata le mura dell’espatrio. Mattone mozzo e mattone intero: non altrimenti hanno tirato su il libro del mondo. Non altrimenti volevano cancellarlo.
*
PARLANO GLI SPIRITI VECCHI
«Antica è l’estinzione. Antica. Vi hanno fatto di sbieco, cioè: pronti per l’investitura. Il vostro paziente compito è quello di avere, con il mondo, lo stesso
contatto dello zoppo, che sa appoggiarsi anche all’aria.
Forate il culmine. Smuovete la finitudine. Diventate l’ago per l’orzaiolo, la
valvola per ciò che preme, il millefoglie per chi troppo ha pianto.
Bisogna che l’erosione scolpisca l’imboccatura del tempo, guardi fitta nel
suo serbatoio, e ne tragga mattoni per il cantiere della terra.
Certo: passeranno la zolla e il palmite, l’anfora e la lucerna d’oro. Ma voi
non siate così inclini a credere al dolore.
Solo la ferita conosce il nucleo insonne della ferita».
*
Perdono.
È troppo lo sgreto
della carne.
Che non si può restare.
Più. Né
più stare qui
dove precipitano gli altri.
Non io. Non io ho scelto
questo scalzo inciampo
nel tempo.
Non io.
Fissatemi in alto.
Fate che non balbetti il ginocchio
nella salita.
Fate che non più non cada
il salire.
Fate che non muoia la morte.
Né più. Neanche.
Il bufalo non ha da spartire la pelle.
Si disgrazia la pietra. Vien meno l’impa-
lo, il duro picchetto.
Io non sgravo.
Non inclino il piano.
Non ho da salvare.
Chi ci ha sciancato?
Non più. Non più. Non più.
Lo scrupolo è dare il nome.
*
Nel secchio di rame
ci laviamo tutti.
Nel guasto secchio.
Nel secchio con la malva.
Nel secchio con l’iperico.
È la notte di san Giovanni
questa notte lunga quanto
noi.
Voi lo sapete.
Voi lo avete saputo.
Prima del secchio.
Prima del nome proprio.
Se questa formula bastasse al tribunale.
Se questa formula svernasse
anche l’offesa.
Noi la diciamo tre volte.
Noi chiudiamo la storia
della colpa.