In anteprima un estratto da “Mistero” di Silvia Bre, uscito nella nuova collana ‘Le parole della poesia’ di Vallecchi editore.
Mistero significa etimologicamente “chiuso”, “sigillato”. È la stessa radice di “miope” – che serra gli occhi per guardare. Ma non erano gli occhi che bisognava chiudere, nei misteri antichi, bensì la bocca. Parlare del mistero è impossibile, ogni mistero presuppone un mutismo, un balbettamento.
Come dire il mistero? Non si può descrivere. Eppure secondo molti (tra cui Kerényi) il mistero ha dato forma al romanzo greco. Apuleio e L’asino d’oro sono il resto di una cultura misterica, di una cultura che ha al centro le indicibili vicende di un’anima.
«Sì, il sentiero che Wilhelm Meister percorre è, nella sua mondanità, un sentiero di iniziazione; egli viene iniziato alla vita stessa […]. Una iniziazione si differenzia da un insegnamento o da una dottrina. È meno e più […]. E se dunque è la vita stessa a iniziare, essa può farlo non grazie a qualche istituzione sacra, ma al di fuori di questa. Se lo stato potesse ancora insegnare, la società ancora educare e la chiesa ancora sacrificare […] allora la vita non potrebbe iniziare. Si tratta della vita nella sua pura mondanità, nel suo carattere puramente terreno, puramente contingente, e proprio essa inizia. Poiché alla vita è stata qui affidata una potenza che veniva di solito esercitata solo all’interno di sfere sacre; ma ora essa stessa è la sfera sacra. E a che cosa inizia? Non al suo senso, solo a se stessa. A qualcosa che, nel suo materiarsi di bellezza, passione ed enigma, e in ogni punto confinando col senso, ma senza mai proferirlo, resta del tutto innominabile. Essa ha dunque un segreto – no, è essa stessa segreto. Dopo ogni singola, per quanto vincolante realizzazione, dopo ogni terribile o insipido smagamento, essa fa ritorno al suo segreto. E se nei vecchi romanzi del barocco cristiano, la serie dei singoli disinganni si concludeva con il disinganno dell’uomo sul mondo e su stesso, per sempre, irrevocabilmente, qui, invece, tutti i disinganni conducono solo a ciò, che la vita stessa rimane segreta, che anzi il suo fascino cresce, perché essa non mantiene ciò che promise, ma molto di più. Sacra forse non la si dovrebbe chiamare, perché noi siamo abituati a collegare il concetto di sacertà a un determinato ambito religioso o morale. No, dal fatto che alla vita viene affidato questo potere di iniziazione, nasce qualcosa di nuovo, un mistero del quotidiano e del mondano che è possesso di questo poeta».
(Max Kommerell)
Secondo Aristotele, l’essenza dei misteri greci era condensata in questa formula: ou mathein, allà pathein. Non conoscere, ma patire. I misteri hanno a che fare con Orfeo – la poesia – e con Dioniso – l’ebbrezza. Il legame tra poesia e ebbrezza è misterioso.
* Il rapporto del mistero con le parole: le parole evocano il mistero, lo mostrano, lo rivelano ma non lo consumano. Ogni forma letteraria ha un suo proprio rapporto con il mistero. Qual è il rapporto che la poesia ha con il mistero? Il romanzo racconta la misteriosità di alcuni eventi, è un mistero dell’evento e della biografia. La poesia? Diverso il rapporto tra romanzo e mistero, e diverso il rapporto tra fiaba e mistero (così si intitolava il saggio di Cristina Campo). Il mistero è l’evocazione più diretta della vita. Come le parole presuppongono il mondo, così la poesia presuppone il mistero. «L’attenzione è la sola strada al mistero». (Cristina Campo). Ciò significa che massimamente misteriosa è anzitutto la realtà, e che la poesia può essere una forma di intensificazione della realtà.
Esiste un mistero puro? Un mistero che non abbia a che fare con chi lo guarda, che non sia misterioso per nessuno? Un mistero vegetale, minerale, che ogni cosa condivide solitariamente, senza l’esposizione allo sguardo. Sarebbe un mistero, forse, non oscuro, un mistero luminoso, dimentico dell’etimologia serrata, chiusa del proprio nome. Un tale mistero sarebbe l’apparenza, o forse – ancora di più – l’evidenza. Per cui misteriosa sarebbe anzitutto l’idea che esista un’evidenza ancora prima di essere vista, un’evidenza che insiste davanti ai nostri occhi chiusi. E così si comprende anche l’etimologia del myein, del chiudere: non perché la realtà è misteriosa, noi chiudiamo la bocca – ma il nostro chiudere la bocca svela la misteriosità delle cose, il fatto che le nostre parole non possono rivelarle. Da questo velo nasce la poesia.